an open letter to rock'n'rollers everywhere
lettera aperta ai musicisti rock, ovunque essi siano [inviata al settimanale sounds, gennaio 1983]

scrivo questa lettera con la speranza che possa suscitare una qualche reazione o, magari, ispirare una qualche azione. l'anno scorso la guerra delle falklands ha dimostrato come sia facile ritrovarsi in mezzo ad una guerra, una guerra che nell’era atomica può facilmente trasformarsi nella guerra definitiva, quella che pone fine a tutte le guerre.
la strategia glaciale e calcolata con cui la signora thatcher ha guidato il nostro paese in ciò che solo un caso fortunato non ha trasformato in quella guerra finale, non è che un triste assaggio del genere di futuro che ci potrebbe essere riservato. per anni siamo stati testimoni dell’orrenda oppressione del popolo nordirlandese da parte delle forze del nostro governo. quelle stesse forze nei tempi più recenti hanno reagito con brutalità ai disordini che si sono avuti a brixton, toxteth etc., disordini causati dal malcontento dei più poveri costretti a vivere con sempre meno risorse mentre i più ricchi continuano ad arricchirsi. la violenza sta divenendo la risposta ufficiale dello stato ai problemi sociali che esso crea.
la thatcher ha adottato la politica vittoriana delle armi spianate per affrontare i problemi di politica interna e, incredibilmente, anche quelli di politica estera. il livello spaventoso di questa violenza ci era stato mostrato con frequenza nell’irlanda del nord, e la guerra delle falklands ha poi confermato che la dottrina della thatcher è affidarsi alla forza dell’esercito e non a quella della diplomazia, rivelandola per quella persona vendicativa, malvagia e irragionevole che è in realtà.
alla luce delle informazioni che sono state raccolte e rese disponibili (si veda il libro “one man’s falklands” di tom dalyell) risulta evidente che la thatcher, nonostante il parere contrario dei suoi consiglieri sia nel foreign office che nell’esercito, si sia prodigata a trasformare una semplice disputa territoriale in una vera e propria guerra. è ovvio che la sua strategia puntava non solo a impressionare l’opinione pubblica britannica, rafforzando la sua immagine per ottenere maggiore consenso elettorale, ma anche a distrarla dai sempre più gravi problemi nazionali come la recessione, la depressione economica e la disoccupazione. è riuscita ad avere successo su entrambi i fronti: per salvare la sua carriera politica la thatcher non si poteva permettere di non scendere in guerra. solo, se l’opinione pubblica britannica fosse stata informata più correttamente sulla effettiva realtà dei fatti, le cose sarebbero potute andare diversamente. è chiaro che l’affondamento dell’incrociatore argentino belgrano sia stato un atto ingiustificabile, voluto fortemente dalla thatcher per impedire quella soluzione diplomatica già intrapresa dai governi peruviano e statunitense. l’ordine dell’aggressione è partito personalmente da lei: è stato questo l’inizio della controffensiva argentina che ha causato l’affondamento della nave sheffield, questo l’inizio della guerra, di quella vera. non la guerra delle falklands, ma la guerra della thatcher. durante la guerra, quella stessa donna direttamente responsabile della disoccupazione di tre milioni di persone ha continuato a chiederci di sostenere i nostri soldati nelle falklands: ma che cosa ha fatto lei per sostenere i nostri soldati quando erano a casa? alla fine del conflitto si sono contate migliaia di morti e di feriti, e la thatcher ci ha esortato a rallegrarci. rallegrarci per che cosa? per l’avventura egocentrica di una donna megalomane su un’isoletta distante da qui ottomila miglia?
la guerra delle falklands non è certo finita qui. sin da quando la gran bretagna ha conquistato le isole centocinquant’anni fa, l’argentina ed altri paesi dell’america meridionale ne hanno rivendicato il possesso. le falklands costituiscono una spina coloniale nel fianco della dignità sudamericana, una piaga destinata a non rimarginarsi fintanto che i governi britannici continueranno ad asserire con arroganza il loro potere su terre e popolazioni sulle quali non hanno invece alcun diritto morale. purtroppo, solo in pochi si rendono conto delle implicazioni reali e delle ripercussioni della guerra. il costo dell’impresa,  sia dal punto di vista economico che in vite umane, è stato del tutto sproporzionato rispetto ai risultati. ai 1,600 milioni di sterline spesi complessivamente per l’allestimento del conflitto, vanno aggiunti i 500 milioni di sterline all’anno che il governo ha destinato al mantenimento del presidio militare nelle isole nel caso di futuri attacchi argentini, che sembrano inevitabili. va ricordato infatti che, nonostante la thatcher abbia proclamato vittoria, l’argentina non ha firmato alcun accordo di cessazione delle ostilità. per l’economia di un paese in difficoltà qual’è la gran bretagna, lo stanziamento di cifre simili per le spese militari è assai difficilmente giustificabile. fino ad oggi gli abitanti delle falklands, molti dei quali non sono nemmeno riconosciuti come cittadini britannici, sono costati all’erario nazionale circa un milione di sterline a testa: pensate a come una cifra simile si sarebbe potuta impiegare in servizi sociali, educazione e sanità, rimasti invece vittime di pesanti tagli (la thatcher afferma che “non ci sono soldi” per tali strutture). la gran bretagna è un paese in cui ci sono anziani che muoiono di freddo perché non possono permettersi la spesa del riscaldamento, un paese in cui si muore per mancanza di cure e scarsità di personale in una corsia d’ospedale, proprio mentre la  thatcher ammazza migliaia di persone e spreca miliardi per una manciata di scogli dall’altra parte del mondo.
è notizia recentissima il via libera della thatcher all’installazione dei missili cruise americani in numerose basi militari sul suolo inglese. tali armi, progettate a volare al di sotto delle linee dei radar “nemici” per ottenere il “massimo effetto sorpresa”, aumentano enormemente il rischio che l’incubo della guerra atomica diventi realtà. in aggiunta a questo, sono stati da poco resi pubblici dei documenti secondo cui l’america intende trasformare il nostro paese in una “base di guerra” nell’eventualità di dismissione delle attuali basi presenti nella germania ovest: sembra ormai che gli stati uniti considerino questa terra come una loro caserma e che la thatcher, felice del suo ruolo di imperatrice della guerra, li accolga felicemente a braccia aperte a nome di noi tutti. ai cittadini britannici non è mai stato chiesto nulla a proposito dei missili e delle basi militari, e sotto la “democrazia” della thatcher ci sono davvero poche possibilità che questo accada. un’ulteriore erosione della “democrazia” britannica sta nel fatto che il nostro governo non ha alcuna facoltà d’ingerenza nell’uso dei missili: in parole povere significa che la gran bretagna è soltanto una comoda base strategica per l’ideologia militare di un paese straniero. considerato il carattere capriccioso e litigioso della cosiddetta “signora di ferro”, forse non è un male che non sia permesso al suo dito di premere il bottone, ma la realtà orribile è che sarà reagan a farlo. vogliamo davvero essere il cinquantatreesimo stato degli u. s. a. senza però avere alcun diritto di cittadinanza? la thatcher ha fatto del diritto all’autodeterminazione degli abitanti delle falklands un punto del suo programma elettorale, un diritto che però di fatto nega alla gente che vive nella madrepatria. il conflitto delle falklands dimostra come sia facile ritrovarsi improvvisamente nel mezzo di una guerra: l’avessero lasciata fare, la thatcher avrebbe ordinato un attacco massiccio all’argentina, e da lì si sarebbe giunti presto ad una guerra mondiale. il governo americano ritiene che la gran bretagna e l’europa intera siano i terreni di scontro principali in caso di una guerra futura, una guerra che con ogni probabilità non saremo stati noi a volere. con la guerra delle falklands e l’atteggiamento pazzesco della thatcher abbiamo perso credibilità internazionale, proprio come stiamo perdendo il nostro diritto nazionale all’autodeterminazione grazie alla sua altrettanto pazzesca alleanza con l’america. le contraddizioni sono evidenti ed assurde: siamo disposti a starcene fermi a guardare, siamo disposti a lasciarli fare?
sin dall’inizio, dall’alba del blues ai fianchi scandalosi di elvis presley, il rock’n’roll ha scardinato migliaia di poltroncine scagliandole attraverso lo schermo cinematografico dell’approvazione borghese. era sinonimo di ribellione, rifiuto e rivoluzione, un sonoro vaffanculo a quella gente grigia che trasforma il nostro mondo in un campo di battaglia e che in noi vede solamente dei soldati giocattolo impegnati a soddisfare i loro orribili progetti di guerra. scrivo questa lettera per chiedervi se pensate di fare abbastanza, o almeno se avete intenzione di fare qualcosa di utile per impedire questo lento ed inevitabile scivolare verso la guerra totale. la musica è uno strumento potente attraverso il quale sin dai tempi antichi si sono espresse idee rivoluzionarie, eppure proprio oggi, mentre subiamo la minaccia costante della distruzione totale, sembra che il rock altro non sia che un divertimento inutile e un passatempo stupido. nei nostri ruoli di musicisti, cantanti, autori, critici, distributori e negozianti noi siamo sostenuti da persone che in un modo o nell’altro si identificano con le nostre attività: è nostro dovere informarli del pericolo che incombe su questo mondo e non adoperarci a mascherare l’agonia dandogli soltanto del divertimento insulso. il blues non è nato per far divertire, è l’anima che urla di porre fine all’oppressione, lo stesso grido fatto proprio da john lennon quando cantava “liberate ora la mia gente”. è nostro dovere avanzare richieste come questa nelle nostre canzoni: richieste di saggezza che devono riempire le nostre canzoni, le nostre interviste, le nostre recensioni e comunicati. non è in gioco il nostro futuro artistico, ma il futuro del mondo.
vi prego di riflettere su quanto ho scritto in questa lettera, e di tentare qualcosa per il bene della terra intera invece che per il bene del vostro conto in banca. in conclusione cito ancora john lennon: “parliamo tutti di dare una possibilità alla pace”… e voi, avete qualcosa da dire?
sinceramente vostro,

penny rimbaud, crass – 12 gennaio 1983
 


     

crass - volantini (particolari)
 

 

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