pete wright - "un intreccio di questioni"

"a tissue of issues" di pete wright, pubblicato su peace news, 1985
tradotto e pubblicato in italia da catfood press, 1985
collage di annie anxiety

 

introduzione.
sembra che abbiamo perso la capacità di cambiare le cose. non interpretate questo intervento come una critica al movimento pacifista: più che altro questo vuol essere un contributo, un assieme di percezioni, di sensazioni di imbarazzo che hanno dato luogo a linee di pensiero contorte. ho volontariamente evitato di fare un mucchio di esempi chiarificatori, non ho voluto spiegare o giustificare una cosa o l'altra. quando la linea dei pensieri si biforcava, ho scelto la strada che "sentivo" fosse la più utile. altri avrebbero fatto diversamente.
offro tutto questo come un qualche cosa su cui riflettere, cose scritte da cui trattenere ciò che credete possa servirvi, per poi scartare ciò che ritenute inutile.
 
c'è una vecchia storia sufi, raccontata da un maestro errante, che probabilmente riassume tutto ciò che voglio dire, e anche qualcosa di più. siccome non è nella nostra cultura dare importanza alle piccole cose, offrirò dei paralleli.
tardi, una sera, un locandiere entrò nella stanza principale del suo albergo, illuminata da molte lampade. uno degli ospiti era curvo a guardare sotto ai tavoli e negli angoli. ovviamente, stava cercando qualcosa.
"cos'avete perduto?", chiese il locandiere.
"ho perduto la borsa del denaro", rispose l'uomo spingendo da un lato uno sgabello per guardarci sotto.
"conoscete forse il luogo dove l'avete perduta?"
"sì, nel giardino."
"dunque, perché la cercate qui?"
l'ospite rispose sbuffando, mentre spostava un grosso mobile: "perché è qui che c'è la luce!"
e continuò la sua ricerca.
 
anche noi abbiamo perduto il nostro senso di equilibrio del mondo. continuiamo a guardare le facce dei nostri capi, chiediamo equilibrio allo stato. gridiamo che vogliamo il cambiamento, ed essi rispondono di no. i capi sanno bene ciò che dev'essere fatto, quindi chi siamo noi per parlare? la macchina dello stato, non appena trova un piccolo ostacolo lo scavalca. la nostra protesta contro l'ingiustizia e la pazzia pericolosa è divenuta soltanto un altro ostacolo nel suo cammino, un ostacolo da valutare, soppesare, e poi scavalcare, oppure ignorare, oppure schiacciare. se per caso ci viene in mente di confrontarci con lo stato, questo gira appena il suo occhio malefico verso di noi e dice: "noi siamo voi". ed è vero.
distruggere lo stato? un po' di matematica e di meditazione può mostrarci chi è che verrà distrutto. riformare lo stato? non siamo neanche in grado di fermare i missili, mentre quelle macchine sono programmate in modo tale da avere una probabilità di sbagliare bersaglio vicina allo zero. forse dovremo pensarci sopra di più, riflettere sui nostri pregiudizi, elevare il nostro dialogo al di sopra delle stupidaggini di questi ultimi anni per riversarlo nella realtà del nostro lavoro.
ci trasciniamo a fatica, coi piedi appesantiti come piombo, nelle nostre azioni. ogni sconfitta è un "successo parziale", parliamo proprio come quelli che costruiscono i missili… eppure, lo so che tutte le proteste servono a qualcosa. personalmente, sostengo tutte le manifestazioni, e so che presto o tardi la loro efficacia dipenderà da quando riusciremo a renderle aperte.
 
che cos'è lo stato?
e chi è lo stato?
siamo noi lo stato?
perchè la bomba?

chi potrebbe mai pensarlo: la struttura marcia di questo nostro imbarazzo altro non è che lo sfruttamento delle materie che noi produciamo da parte di quelli che consideriamo i nostri "capi". lavoro, intelletto e spirito!
i bisogni spirituali sono fondamentali per il nostro sviluppo almeno quanto le esigenze fisiche. ci è difficile comprendere la nostra parte in tutto questo perché ci è stato instillato fin dalla nascita il terribile concetto di "colpa", e lo usiamo contro quelli che consideriamo nostri avversari.
alle domande che ho fatto voglio anche rispondere: lo stato è uno strumento utilizzato da tutti. lo stato è fatto dalla gente e dalle idee della gente. la bomba esiste perché ne abbiamo bisogno: è una manifestazione della nostra insicurezza. le risposte sono parziali, sono parte della verità. sfaccettature. ma queste sfaccettature ci appartengono, ed in esse abbiamo perduto la nostra forza. dove altro potrebbe essere? dobbiamo imparare a vivere senza certezze. senza quella sicurezza, senza il comodo bianco e nero.

che cos'è lo stato?
le persone che noi consideriamo parte dello stato, quelle che lo fanno funzionare, gli individui, non fanno ciò che vogliono. spesso, anzi, agiscono al di fuori della loro moralità. lo stato ha le sue regole e la sua logica. esiste come concetto, come mezzo per i fini stabiliti dai vari partiti interessati. la natura dello stato è riflessa nella vita della gente. la natura delle nostre vite è riflessa nello stato.

chi è lo stato?
quando lo stato dice: "noi siamo voi" ripete qualcosa che già conosciamo, il concetto della rappresentanza popolare nelle democrazie parlamentari. il desiderio di essere lasciato in pace a compiere il proprio lavoro. noi queste cose le sappiamo, ma c'è qualcosa di più profondo, di più fondamentale. lo stato è la materializzazione parziale di esigenze e desideri che riposano al di sotto della superficie della coscienza sociale. lo stato è fatto di persone, quindi dev'essere espressione di quelle stesse persone. lo stato è la nostra più singolare e terribile opera d'arte. per vedere al di là della superficie dobbiamo imparare a pensare in maniera più articolata, dare nuovo valore ai nostri pregiudizi.

cos'è la bomba?
uno dei problemi fondamentali del movimento pacifista, il motivo per cui ora noi siamo qui. chi ne ha bisogno? sembra assurdo che i ricchi vogliano distruggere le cose una volta per tutte, c'è abbastanza benessere per consentire loro una vita più che agiata. ci sono ottime ragioni economiche e politiche che possono spiegare la bomba. la ragione migliore è lo sfruttamento di una presenza considerata inevitabile: questo potrebbe spiegare la ragione di una presenza così ferma e forte nella nostra psiche, nella nostra consapevolezza. uno strano oggetto che vola, luci improvvise nel cielo, il rovesciamento di ogni progetto della nostra vita. tutto questo ci spinge verso l'orlo di un'apocalisse attesa da tempo. viviamo sull'orlo.

chi ha bisogno della bomba, di questa attrazione del destino?
noi. so bene che in tutto questo discorso sono stati messi da parte i mercanti del potere, le menti distorte che giocano con la distruzione totale, ma è solo per dimostrare che siamo noi quelli che mandano avanti la macchina. niente può esserci preso che non sia ciò che noi diamo. dobbiamo guardare noi stessi. la verità non è mai semplice, ma qui c'è un aspetto della verità, ed è saldamente fissato dentro di noi: il nodo della questione altro non è che la delega ad altre persone del potere politico. quando ci saremo liberati dal contributo che diamo al dolore del mondo, solo allora saremo davvero liberi.
quando partecipiamo ad una dimostrazione di piazza, ecco ciò che vogliamo dimostrare: la nostra libertà. la critica rafforza lo stato, proprio perché ogni pubblicità è buona pubblicità. lo stato non potrà resistere a delle manifestazioni di piazza forti della partecipazione di moltissime persone spiritualmente indipendenti. non è facile, non è un problema, non è impossibile. oppure, possiamo continuare con le cazzate, tanto per tenere alto il morale in tutte le situazioni che ci creano delle preoccupazioni.
 
la vendetta è mia, disse il signore...
la bomba è sospesa sulle nostre teste e minaccia un'improvvisa, sicura e terribile retribuzione. come? proprio come la vecchia concezione vittoriana di dio: irascibile, geloso, irrazionale, una presenza incombente. poi venne l'inventore della psicanalisi: sigmund freud dimostrò che a ogni persona corrisponde un complicato intreccio interno, costruito sulle interazioni dello sviluppo piuttosto che su un'innata bontà o cattiveria. niente bianco, niente nero. ovviamente, le sue scoperte erano strettamente legate al condizionamento sociale del tempo, ma l'effetto che ne derivò fu enorme. freud aveva ammazzato il dio vecchio e vendicativo rendendo dio assurdo. le religioni occidentali impararono ad essere più compassionevoli, o si trasformarono in caricature di sé stesse.
la gente venne profondamente scossa da questo cambiamento, e nemmeno le preoccupazioni della guerra e la decadenza riuscirono a colmare il vuoto. la psichiatria si ingarbugliò su se stessa e sul mito delle malattie mentali, e non offrì alcun aiuto. senza questa "forza terribile" per gettare nell'ombra gli altrui disagi, divenne quasi inevitabile commettere il "peccato": l'ammettere a se stessi, nel senso più vero, che la vita era un peso da sopportare, o più semplicemente un insulto all'intelligenza. dio aveva dato significato alla vita, semplicemente minacciando di togliercela. e poi venne la bomba, pronta a fulminare gli scettici, a distruggere chiunque avesse il dubbio che valesse la pena il sacrificio di vivere una vita miserabile. la nostra bomba., e con essa tutte le celestiali macchinazioni di germi, batteri e veleni che aspettano sotto le sue ali. tutte le futili preoccupazioni del consumismo, del materialismo, della cultura dell'assuefazione per calmare gli spiriti disperati ed insonni. abbiamo reso manifesta la nostra paura dell'annientamento. il mondo è fatto in modo tale da rivelare le nostre psicosi. oh, valoroso nuovo mondo, popolato da simili persone! una sfaccettatura della verità.
ricordiamolo ancora una volta. quando lo stato è minacciato, noi siamo voi. lo stato è uno strumento. in mano ai ricchi, che così si assicurano la perpetuazione del loro modo di vivere privilegiato. in mano ai poveri, che in questo modo danno una valutazione costante e contorta alla loro oppressione. in mano ai borghesi, che rendono l'incubo un sogno. contraffazioni sintetiche della vita.
   
eventi attuali.
sto tentando di scombussolare alcuni comuni pregiudizi. sto cercando di dimostrare che quando qualcosa appare semplice, se viene preso in considerazione senza questi pregiudizi si scatena l'inferno. differenti punti di vista divengono posizioni parallele: la vera differenza sta solo nel modo in cui vengono utilizzate. migliore sarà la nostra comprensione, intuitiva oppure razionale, sicuramente più liberi saremo di portare un cambiamento positivo. la nostra comprensione ed il dibattito in corso nel movimento pacifista sono messi in una situazione critica dai grandi noi e loro. sì, una situazione simile ci è stata utile in passato, ma adesso si è rivoltata contro di noi. ora siamo stanchi. loro sono divenuti immuni all'autocritica. devono confrontarsi con noi, e siamo noi che dobbiamo mettercela tutta, essere maledettamente influenti. la nostra retorica vuota si incontra con i sorrisi indulgenti, la benevolenza con argomenti solidi e circostanziati, la serenità con la disperazione e la desolazione. dobbiamo sorpassare questa situazione. iniziamo a comunicare. con la gente, l'uno con l'altro. entriamo in questo dialogo con lo stato. niente di meno che una rivoluzione totale, una forma di questo teatro. l'impatto e l'efficacia di questo nostro teatro dipendono dall'abilità e dall'intelligenza degli attori.

il gioco.
guardate ciò che accade adesso. ci sono moltissimi interrogativi sull'argomento, molte cose alle quali opporsi, molte dimostrazioni di piazza, azione diretta, un grande sforzo, molta gente coinvolta. dall'altro lato molta gente che continua a pagare il prezzo di questo coinvolgimento con la prigione, con le multe e diverse altre forme di brutalità. molta gente è incoraggiata a oltrepassare le proprie barriere di riservatezza e senso comune perchè la solidarietà si sta sviluppando: questo provoca il risentimento dell'autorità. e l'autorità si muove per arrestarci, per imprigionarci, per attaccarci. la solidarietà è la ragione della validità della nostra protesta. ancora più spesso, però, l'autorità non si muove, resta a manovrare nel proprio territorio. dal momento che la maggioranza delle manifestazioni pubbliche prende l'impostazione del tipo noi-e-loro, ecco formarsi il gioco. l'effetto cercato è nell'interazione. i giochi possono andar bene se si ha il senso della proporzione, se si sa giocare bene, se si è prudenti quando sono gli avversari a fissare le regole, se si conosce bene quando è il momento di smettere, quando si deve aspettare, quando si deve attaccare. la cosa che mi dà più fastidio è che entrambe le parti in gioco tendano ad adottare le stesse tecniche: più la differenza fra le parti si fa sottile, più è difficile scegliere da che parte stare. cosa più che naturale, visto che entrambe le parti in causa sono costituite di persone che di solito mettono in azione le loro differenti moralità.
definire i nostri sforzi un gioco non significa affatto diminuirne il valore. siamo lì per vincere. e se la nostra vita privata non ha più dignità del nostro rapporto con lo stato, di che cosa ci lamentiamo? il valore, l'efficacia delle differenti azioni di protesta, sia che si tratti di manifestazioni di piazza che del presidio di una base militare, o un campo della pace, o l'attacco ad una macelleria, sta essenzialmente nel quanto bene si riesca a comunicare l'idea agli altri. dobbiamo valutare coscienziosamente il guadagno rispetto al prezzo da pagare quando rischiamo di diventare "sempre i soliti che protestano". le grandi gesta che rischiano di tenerci fuori dal giro per lungo tempo hanno una simpatia limitata, mentre ciò che noi scegliamo per strategia dell'opposizione deve avere un'enorme capacità di aprirsi, intrecciarsi e razionalizzarsi. una strategia che deve saper ridefinire se stessa e diventare sempre diversa conformandosi alle diverse situazioni che si vengono via via a creare. è un concetto astratto, lo so. la solidità apparente è solamente il riflesso di quell'energia che continua a mantenere alta l'idea dello stato, col sostegno e l'aiuto dei vari giornali, radio, televisione e film.
la lezione più difficile che ho dovuto imparare in questi ultimi anni è che mi preoccupo perché scelgo di preoccuparmi. le attuali manifestazioni di reazione dello stato sono più un'offesa al mio senso estetico che l'annunciazione del giudizio finale. vorrei far parte di qualcosa, ma non c'è davvero nulla a cui appartenere. una vita di protesta permanente: ecco il risultato delle nostre scelte. può facilmente diventare un qualcosa da cui dipendere, una nuova bomba, un'eccitazione durevole nella depressione del mondo. kurt vonnegut, lo scrittore, afferma che il male peggiore del mondo di oggi è semplicemente il condizionamento culturale. il soldato spara per ragioni culturali, non per sua iniziativa. i politici mentono perché questo fa parte del comportamento corrente, perché è normale. la gente agisce in maniera disumana perché la cultura corrente dà valore e generalmente incoraggia un simile comportamento. noi, i pacifisti, sembra che rivendichiamo la nostra parte in questo gioco di protesta utilizzando linguaggio e metodi che appartengono a chi ci si oppone. noi facciamo della propaganda contraria a degli ignoti loro aspettandoci dei cambiamenti radicali, senza capire che questa è una contraddizione. ci aspettiamo di essere identificati come la causa del loro malessere, e contemporaneamente crediamo di esserne la soluzione. attacchiamo posti non protetti, oppure individui che si distinguono per questioni economiche ed efficienza. e quando uno dei loro è colpito rivendichiamo i vantaggi dell'azione. o gridiamo all'oltraggio se ad essere colpito è uno di noi. il cerchio è chiuso. diciamo di volere la vita, ma quello che ci interessa davvero è prendere parte al gioco. il gioco delle polarità opposte. la tranquillità del bianco e nero. sono confuso.

i benefici della tecnologia.
il mondo esterno è il riflesso della nostra struttura interna. siamo circondati, sommersi dalla tecnologia e dal disordine del consumismo, ma sbagliamo nel non capire che tutto questo è prodotto dai nostri desideri espressi e dalle nostre esigenze nascoste. diciamo di essere in grado di utilizzare i loro strumenti per il nostro tornaconto, e non ci accorgiamo che li stiamo già usando. ed eccomi qui, con la più fondamentale delle mie contraddizioni: me stesso. non voglio conformarmi ai miei standard troppo stretti. la tolleranza di me stesso e la tolleranza degli altri. noi siamo parte di loro. parliamo a noi stessi, e ciò che avremo da offrire saranno le nostre proposte, il nostro sviluppo, la nostra crescita. mettiamoci faccia a faccia con l'atto equivoco del perseguire un completamento interno della nostra conoscenza da una parte, e dall'altra con l'atteggiamento esterno di dar voce sempre più forte alla nostra insoddisfazione comunicando agli altri il nostro punto di vista. il pericolo sta tutto nel trasformarsi in una forma della nostra insoddisfazione, essendo la nostra sostanza la protesta. fino ad ora, il movimento pacifista ha sempre accoppiato la tecnologia dell'artefatto con la protesta contro l'artefatto (no alla bomba), ha abbinato la specializzazione alla protesta contro problemi specifici (no ai missili cruise), ed ora tenta di mettere assieme la tecnologia della protesta riducendo le varie questioni al linguaggio binario dei computer. bianco oppure nero. tutto o niente. l'esigenza attuale della gente modella la tecnologia, mentre invece dovrebbe precederla. cerchiamo di essere più attenti, dunque. stiamo parlando alla nostra faccia riflessa nello specchio. siamo così tesi e nervosi perché abbiamo paura di cadere negli abissi delle nostre stesse definizioni. e ricordiamoci di una cosa: siamo noi a cogliere i fiori, non loro...
quando potremo liberare il nostro spirito che ci si oppone? e ora, ritornando alla vecchia storia della borsa perduta...

 

     
crass in concerto all'autonomy club di wapping, londra, dicembre 1981 (foto di graham burnett, www.spiralseed.co.uk)

 


 

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