antonio (toni) ciavarra è morto, improvvisamente, lunedi 15 marzo a torino. scrivo senza avere notizie precise. sono lontano da torino. spero di fare bene nel dire, a nome di franti e di tutti i musicisti, le sorelle e i fratelli di musica, di vita, di ideali che hanno conosciuto toni, il dolore enorme, davvero incolmabile, che ci colpisce tutti. vorrei chiedervi nei concerti prossimi, sui giornali, posti di lavoro, di studio, di militanza politica, riunioni di amici, di ricordare toni, come un abbraccio per renate e i loro figli. e come un abbraccio per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, di suonarci insieme, di condividere vita, musica e sogni. toni ha fondato e suonato, con me, lalli, claudio villiot e paolo stella il gruppo environs, all’indomani dei franti. ma proprio con franti, dopo gli anni liceali in gruppi rock e blues, aveva iniziato il suo percorso dentro musica e vita, frequentando la nostra casa comune. toni ha fondato e suonato con ishi, progetto diverso ma stesso spirito e molti dei compagni provenienti dalle esperienze precedenti. yuan ye, un gruppo acustico, minimale, ma grande soul, era stata una idea di toni. non ha mai smesso di suonare il suo blues: ogni volta che ha potuto è venuto a sentirci suonare, coi figli piccoli e poi da grandi. le parole contano zero. i ricordi, l’amore, il dolore che da sordo può e deve diventare suono, di vita, di futuro, tutto questo, conta tutto. per sempre, fratello. blues a healer. mai soli.

stefano giaccone

   
environs
"un pettirosso in gabbia mette in furore il cielo intero"
   

a differenza di altre ristampe di vecchie registrazioni di formazioni non più attive, questo non è un cd celebrativo. non è "tutto quel che c'era su vinile più gli inediti", né raccoglie "il meglio" degli environs. su di questo abbiamo riflettuto a lungo. diciamo subito che siamo tutti (tutti i musicisti coinvolti) stupiti e contenti dell'interesse che viene dimostrato verso le nostre vecchie cose. environs non era un gruppo musicale vero e proprio: più che da un progetto sonoro comune eravano tenuti insieme da qualche canzone e dalla nostra voglia di sperimentare. un collante tutt'altro che fragile. come franti, anche environs è stata un'esperienza non riassumibile, ecco: questo cd rappresenta non il meglio, ma il più sensato. oggi. quindi niente vecchie registrazioni di scarsa qualità rimasterizzate per forza: siamo stufi di riascoltarci nascosti dietro un mare di fruscio. quindi qui dentro non c'è stato posto per "my funny valentine" -con un buon sax e una voce che fatica su una tonalità non sua-, e invece se n'è trovato per (un estratto di) "streams" -con un orrido sax ma un ottimo piano e un'ottima chitarra-, che è stato soprattutto (nel bene e nel male) un pezzo rappresentativo di un certo periodo della nostra esistenza ed attività. qui dentro non c'è la nostra cover di "cometa rossa" degli area (buona allora, "a caldo", oggi un esercizio neppure tanto riuscito) ma c'è invece una nostra registrazione dal vivo a el paso, una testimonianza di uno dei tre concerti del gruppo. scelta perché ci sono le nostre fotografie di tim buckley e bertolt brecht. perché era a el paso. perché era un concerto di protesta contro il sequestro del libro "suicidio, modo d'uso". quindi, per evitare imbarazzi e sforzi economici inutili, environs è questo cd. tutto il resto lasciamolo dov'è... (environs, ottobre 2000)

nel family tree che nasce dai franti, environs è uno dei rami più vecchi. environs è il nome dell'open group - attivo tra la fine del 1987 e la fine del 1990 - che si sviluppa attorno a lalli e stefano giaccone (che di franti erano stati rispettivamente la cantante ed il cantante e sassofonista), al pianista/tastierista claudio villiot e al chitarrista toni ciavarra (già attivo nel "giro" con il gruppo yuan ye). altre collaborazioni giungono, tra gli altri, da paolo stella (voce), ugo guizzardi e dal musicista argentino miguel angel acosta (voce e chitarra), questi ultimi già frequentazione in studio ed in concerto di lalli e stefano.
environs non è un gruppo musicale vero e proprio: non c'è dietro un progetto specifico studiato a tavolino che tiene assieme la formazione, se non l'idea di compiere un viaggio collettivo dentro le musiche. è, la loro, una navigazione senza una rotta precisa, un vagare attraverso le suggestioni al cui suono sono cresciuti, con in mano strumenti semplici e tecniche compositive e d'esecuzione essenziali e lontane dal virtuosismo. environs ha però il coraggio e la sfrontatezza di affrontare il viaggio con le armi difficili dell'improvvisazione e della sperimentazione; i musicisti vanno alla ricerca di una traccia, di quel "filo rosso" sonoro che ha accompagnato la loro crescita attraverso gli anni '70 ed '80. le canzoni prodotte in questi tre anni d'attività sono in grande parte rivisitazioni di musiche e testi preesistenti, spesso e volentieri mescolati a citazioni, frammenti, scampoli sonori. i vari dischi pubblicati, tutti diversi e lontani come ispirazione e linguaggio espressivo, sono testimonianza delle diverse tappe raggiunte in questo cammino collettivo.
 
marzo 1988: environs pubblica in proprio un 7" con una versione di "no man can find the war" ed una di "todavia cantamos" (nel finale di quest'ultima, come bandiera al vento, la melodia struggente della "song for che" di charlie haden). il punto di partenza "ufficiale" di environs combina la poesia di tim buckley e le vibrazioni sudamericane, entrambe presenze importanti che ritornano più volte nell'offerta di questi musicisti: in seguito troveremo "song to the siren" tra le pagine più belle di howth castle, così come sarà rinnovata la dichiarazione d'amore per il sudamerica nelle opere degli orsi lucille e nella lunga e fruttuosa collaborazione di lalli con miguel angel acosta e gli umami. già da questi primi passi discografici è evidente come per environs sia indissolubile ed imprescindibile il legame tra le musiche ed i testi, e che anzi sia verso questi ultimi rivolta una particolare attenzione: la semplicità strutturale degli arrangiamenti viene travolta dall'interpretazione vocale sempre emozionante di lalli, che - a differenza di quanto accadeva in franti, quando la sua voce veniva utilizzata in una dimensione di gruppo - si fa adesso scoprire interprete di grande talento.
gennaio/febbraio 1989: environs pubblica in proprio l'album di debutto, intitolato "3 luglio 1969", e lo dedica alla rivolta di studenti ed operai nelle strade di torino, giusto vent'anni prima. il gruppo offre cinque canzoni che vanno in cinque diverse direzioni: una versione di "close watch" di john cale, l'esperimento "telegramma" (ispirato dalla resistenza palestinese, e significativamente intriso di sonorità irlandesi e sarde, nonché del rumore dei sassi), lo standard "my funny valentine", una versione de "l'inno della rivolta" e la lunga "streams" visitata dalle ombre di albert ayler, bessie smith ed hank williams. l'album ispira la realizzazione del film di claudio paletto "bordi taglienti" (ed. west front video); lo stesso collettivo aveva realizzato il film "ripresi" nel 1987, per la cui colonna sonora erano state utilizzate alcune delle primissime registrazioni degli environs. è questa una collaborazione partita anni addietro, con la realizzazione - sopra ed attorno ad "acqua di luna" dei franti - del video breve "untreu" (regia e sceneggiatura di mimmo calopresti e claudio paletto).
 
gennaio/aprile 1990: environs pubblica in proprio "cinque parti", un album di semi/improvvisazioni utilizzate in parte come colonna sonora della performance teatrale "antigone, nonostante la morte" del collettivo rote fabrik, diretto da nevio gambula. alla realizzazione dell'album collaborano paolo stella ed ugo guizzardi (già collaboratore di franti, nonché musicista coinvolto nelle esperienze joel orchestra, umami, raiz latina etc.). ancora, il gruppo propone cinque diverse tracce e direzioni musicali, tutte accomunate stavolta dal tema ispiratore della mancanza di libertà: in "giocattoli", "le tombe degli avi" e "resistete" vengono proposti frammenti dei poeti greci contemporanei iannis ritsos e michalis katsaros (entrambi hanno pagato cara la propria sete di giustizia), in "per città e villaggi" il testo è ritagliato da un'opera del poeta iraniano sa'id soltanpur, mentre "palinfonia" è un game piece. 
   
l'ultima apparizione "pubblica" degli environs è del gennaio 1991: il gruppo partecipa con una versione di "cometa rossa" - un cavallo di battaglia degli irriducibili area - alla compilation "shabab", un'iniziativa di beneficenza pubblicata dall'indie blu bus in collaborazione con l'associazione italo-palestinese al-ard.
sono rare le apparizioni in pubblico del gruppo: solo tre concerti, uno in un cinemateatro occupato a milano, una all'hiroshima (in occasione dell'inaugurazione della prima sede) e una a el paso di torino (happening di protesta contro il sequestro del libro "suicidio, modo d'uso"). una registrazione dal vivo durante il concerto a el paso - l'unica resa pubblica - è presente nella compilation "voix vulgaires vol. 3", pubblicata a sostegno di a/rivista anarchica: è un medley di "no man can find the war" ed "epitaph 1919", quest'ultima composta da kurt weill su testo di bertolt brecht in memoria di rosa luxemburg.
all'avventura environs seguono altri viaggi, riunioni, partenze: nel family tree dei franti ritroviamo - a breve distanza da environs - lalli, toni e claudio a cantare e suonare assieme in ishi, così come quasi parallela all'attività di environs si svolge quella degli orsi lucille.
   

3 luglio 1969

è il giorno in cui gli operai della fiat in sciopero e gli studenti, assieme alla gente del quartiere mirafiori, si scontrarono con la polizia per ore ed ore in corso traiano, "liberando" una vasta zona della città. ricercare le tracce alle spalle rientra nella dimensione esistenziale degli uomini, legare i segni tra loro per rilanciarli in avanti. e corso traiano per torino, per noi, vuol dire autonomia, segno nero su bianco, rottura. questo ancora il perimetro entro il quale cresciamo. noi crediamo che esistano molti modi per accostarsi alla musica e di porgerla: c'è il dopolavorismo (casa del popolo, arci, birreria, ecc.), c'è la corsa dei tacchini che, sospinti dai piani d'investimento delle multinazionali, s'intruppano per scelta o per necessità, il professionismo che ci lascia stupefatti di fronte alla perfezione tecnica e relegati nel "vuoto stellare" che si crea tra esecutore e "consumatore" (nonché incazzati di fronte al perpetuarsi del dominio della merce sulla libertà). ed altri ancora. quanti di noi suonatori ascoltatori poeti saltimbanchi uomini videofacenti grafisti donne ballerini vorrebbero uscire da tutti questi schemi? quanti di noi vorrebbero tentare di (ri)calare i propri sforzi, la propria poesia, il proprio tempo dentro un senso/direzione, una rete fatta di esperimenti, memoria, storia, futuri, antagonismo? 
tutta qua la nostra presunzione: non sono che cose raccolte in giro, mescolate tra loro, cercando nuove parole, nuovi legami, nuove letture nel nostro passato, nuove sensibilità. discorsi fumosi come questi anni che ci tocca vivere. del resto "è tutta musica leggera, ma la dobbiamo imparare...", come dice un nostro ottimo cantautore... (dalla presentazione dell'album "3 luglio 1969", gennaio 1989)

   
cinque parti

...faticoso è l'inizio, dove i gesti sono regolati dalla percezione del disastro. nonostante le incertezze, si continua. recito. del resto, è gradevole. penso a beckett, all'aria pesante che tira nella sua scrittura. penso ai suoi personaggi vivi ancora per un poco, a quei gesti di completo fallimento, alla segregazione. in uno stato di evidente conclusione, penso all'isolamento. nonostante il disagio respiro ancora. posso, ancora, trasformare il fiato in suono, in senso. parole. spiegarsi la vita con parole. il gioco dei messaggi nella generale propensione alla tolleranza. comunque recito, ancora. come un cantore epico, rimaneggio con perfezione matematica e audacia provocante il poema tragico dell'antigone,e ne annuncio, a colpi di bastone sopra a un disco metallico, una nuova e disturbante versione. qui ho infatti violentato, trafugato, sottolineato e strappato dal contesto brani dell'antigone sofoclea e della sua rielaborazione brechtiana con il chiaro intento, attraverso il ritmico scorrere dei versi e con l'armonia senza misura dell'audacia vocale, di lanciare fiamme di grido all'amministrazione compiaciuta dell'esistente teatrale… (dal volantino di presentazione dello spettacolo "antigone", rote fabrik 1990)

 

"cinque parti" raccoglie i risultati di un incontro tra environs e la rote fabrik, compagnia teatrale di nevio gambula. l'incontro avveniva attorno allo spettacolo "antigone, nonostante la morte". lo spunto, una rivisitazione del testo greco (già ripreso da holderlin e successivamente da brecht), racchiude il tentativo dell'autore di dare una propria interpretazione di "questi anni che ci tocca vivere", identificando nel "movimento" il cadavere da seppellire, rispettando una forma/struttura molto simile a quella classica mescolandovi però situazioni e linguaggi moderni, attuali. da parte nostra abbiamo scelto di lavorare non su una colonna sonora o comunque su un insieme di musiche pensate per accompagnare precise situazioni sceniche, ma di utilizzare la figura di antigone ed il contesto della cultura greca come elementi di partenza, muovendoci liberamente per costruire un "nostro" percorso attraverso suggestioni ed associazioni di idee. tutto questo confrontato con un lavoro teorico-pratico sull'improvvisazione, iniziato all'indomani dell'uscita di "3 luglio 1969", il nostro primo album. c'è un filo preciso che lega quanto detto sul nostro primo album e questo. là si poneva l'accento sulla necessità di lavorare sull'idea di comunità e produzione culturale, sul rapporto indissolubile - pena la sterilità - tra idee e trasformazione. ovvero, come progredire nel disegno di disgregazione della duplice figura artista/spettatore. questa è la condizione unica per "sciogliere" l'espressione culturale (o arte, che dir si voglia) dentro la vita quotidiana, per renderla invisibile, in quanto condizione di libertà dalle profonde radici, interna alla spinta pratico-ideale verso forme sociali non coatte. e la comunità di cui qui si parla non è nel mondo del poi, sul pianeta anarres: è qui. da sempre. dietro le spalle c'è tutto quello che sappiamo, che abbiamo, che siamo. 
mettere a fianco stili, idee, storie diverse come in "3 luglio 1969" può riuscire nell'intento di scovare tra l'immondizia e le scorie il filo che lega la storia della comunità con la cultura della trasformazione. quale il rapporto con questo disco? l'improvvisazione sta dentro tutta la storia della musica come la spinta prima ed ultima di ogni forma sonora: il contatto con gli altri e sé stessi. per noi non v'è nulla di più difficile che improvvisare, abituati come siamo a suonare (ed ascoltare, il che è lo stesso) secondo schemi radicati nel corso dei secoli. intendiamoci: questi schemi non sono diabolici piani di coercizione del potere. sono linguaggi: come il latino, che serviva ai preti per fregare i contadini, o il cobol, che ci frega tutti. l'improvvisazione è comunicazione immediata, ovvero non mediata, tra musicisti ed ascoltatori, che in questo caso creano un corpo unico, possibile specchio di ipotesi sociali alternative e martello sulla merce-musica. ognuno si porta dietro il proprio bagaglio di ricordi, ascolti, visioni, incubi. lo sviluppo, il confronto, lo scontro avviene in pubblico, dentro le nostre teste. praticandola, l'improvvisazione deprezza il chitarrone elettrico, il synth miliardario, il sax lucidato, l'impianto hi-fi, il biglietto di prima fila. è tutto lì. semplicissimo e spaventoso che tra i "pianissimo" e gli schianti, i sussurri ed i fragori, le trombette e gli urli, occhieggia il nostro fardello più pesante: noi stessi... (dalla presentazione dell'album "cinque parti", aprile 1990)
   

 


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