interviste

1.  rockerilla [alberto campo, marzo 1985]
2.  snowdonia [marco e maurizio pustianaz, autunno-inverno 1985]
3.  il mucchio [eddy cilìa, gennaio 1987]
4.  urlo [vittorio amodio, luglio 1993]

se avete fretta cliccate sul nome del giornale (da 2. in poi) per puntare direttamente all'inizio dell'intervista corrispondente.
le interviste sono state riprodotte con l'autorizzazione degli intervistatori.
le versioni delle interviste sono integrali, tranne qualche breve ritaglio contrassegnato da (...) e qualche aggiunta redazionale racchiusa tra [parentesi quadre].

1. rockerilla [intervista a cura di alberto campo da rockerilla n. 55, marzo 1985]

ci sono alcuni elementi curiosi in questa vicenda: il fatto, ad esempio, che franti sia senz'altro una delle più evolute e singolari impersonificazioni della nuova musica italiana, senza che ciò sia di pubblico dominio; se volete, anche la coerenza e il rigore ossessivi che accompagnano ogni loro singola mossa sono quantomeno insoliti. non ha fatto eccezione questa intervista, da loro lungamente meditata e discussa. in fondo, dal loro punto di vista -che leggerete più avanti- anche questo giornale svolge una sua funzione nel mercato della musica e deve essere oggetto di critica. quanto segue è la premessa scritta di loro pugno, insieme puntualizzazione e giustificazione della loro presenza su queste colonne:

nell'universo del capitale tutto è ridotto a merce: anche la musica. la merce deve circolare per produrre profitto. deve essere venduta. di questo si occupano i vari piazzisti della musica: discografici, negozianti, distributori. giornali, giornalisti, critici. alla base del nostro progetto, avviato verso la metà del '77, c'è una volontà di rendere udibile la possibilità e la realtà di un'esistenza diversa della cultura e, nella fattispecie, della musica e dei musicisti. sapendo che tutto ciò non può che svilupparsi nel dissenso e nella pratica antagonista contro il dominio delle leggi di sfruttamento e del profitto. apparteniamo a una generazione che ha sempre pensato a un disco come un pezzo di plastica: né un proclama, né la controfigura di un mitra. la produzione autogestita è uno specifico atto dell'autoproduzione della didattica e delle scuole personalizzate, ovvero lavorare per produrre cultura e canali per trasmetterla. cultura e conoscenza dello stato delle cose e su come trasformarlo. franti siete voi quando lo ascoltate, quando voi suonate, quando vivete. molto di meno di quello che vorremmo, molto di più di quanto vorrebbero che fossimo... (franti, febbraio '85)

sarebbe illecito e impreciso cercare di parlare con loro il linguaggio solito delle interviste: i dischi, i concerti e l'altro solito tran-tran. basti una considerazione di vanni, il chitarrista dal capello lungo e la folta barba da grande saggio, per intendersi: 

vanni - io, ad esempio, ho sempre avuto dei problemi a registrare la mia musica. credo che ci voglia una "critica" della riproduzione sonora, poiché quello che sembra un dato neutro non lo è affatto. secondo me, il disco sta alla musica come la fotografia di un cavallo in corsa sta al cavallo stesso. in un certo modo la registrazione è l'alienazione della musica. quella che noi pratichiamo allora è una mediazione. la musica, l'arte e la cultura in genere sono merci, ma d'altra parte guai non ci fossero dischi, libri, film. occorre avere un atteggiamento costantemente vigile e consapevole.

detto una volta ancora che franti è il cattivo senza redenzione del libro "cuore", come scrivono loro stessi: "quello che rompe i vetri, fa uscire matto il maestro, ride quando il re d'italia muore. per noi è una delle personificazioni di un modo di vivere e pensare antiautoritario, antigerarchico, contro lavoro e imposizioni", possiamo quasi arrivare all'intervista vera e propria.

in una sera di febbraio classicamente umida e "casalinga" -le strade, camminando, si mostravano deserte due ore prima della mezzanotte- in una casa posta nel cuore del quartiere operaio per antonomasia, s. paolo, trovo vanni, insieme a lalli, la cantante tanto minuta quanto forte spiritualmente, e stefano il parlatore più acceso e appassionato, mentre più tardi arriverà massimo, il bassista, al secolo "la locomotiva del socialismo". manca marco, il batterista, lo stesso dei leggendari e disciolti blind alley, ora impegnato con i party kidz. vanni insegna materie tecnico-pratiche nelle medie superiori, stefano è bidello, lalli dattilografa. massimo opera in un centro sociale e marco è attualmente obiettore di coscienza. non vogliono foto nell'impaginazione dell'intervista, propongono di inserire, invece, i dati che leggerete voi stessi. ...perché?

stefano - quei dati rappresentano un po' il criterio che abbiamo, che è quello di partire dalla realtà, dai problemi concreti. non lo facciamo per distinguerci o fare gli eccentrici, è che siamo stati e siamo ancora adesso, in modo diverso, militanti rivoluzionari. noi consideriamo la musica come mezzo di comunicazione, che è diverso dall'essere semplicemente musicisti progressisti.

vanni - ci sembra assurdo sprecare dello spazio con le nostre immagini, che significano poco o niente, mentre quei dati invece sono significativi e importanti. vogliamo dire così che non ci si deve continuamente rifugiare nell'immaginario dei mass-media, musica compresa. non si deve perdere di vista la realtà quotidiana. quanta gente sa che ogni anno in italia muoiono lavorando cinquemila persone? e questi sono solamente i dati ufficiali!

per voi, allora, la musica è una specie di ripiego, surrogato della politica?

vanni - no, anche se in effetti, se le cose nell'Italia degli anni scorsi fossero andate diversamente, adesso non saremmo qui a suonare, e come noi molti altri.

stefano - vale lo stesso anche per me. ma questo non significa considerare la musica come un surrogato, piuttosto una forma di comunicazione, uno strumento per mettere in moto il cambiamento, per vivere in maniera diversa. se domani fosse importante andare in piazza a far casino, non ci sarebbero problemi a lasciar perdere tutto, con delle idee in testa, però, e l'arte è produzione d'idee.

ora, suonare, incidere, disporre di tecnologie a basso costo è più semplice di una volta. lo considerate un allargamento della democrazia?

stefano - forse può esser vero, ma i progressi non sono mai tali se non si accompagnano a un'evoluzione intellettuale, della coscienza di ciò che si fa. da un punto di vista politico, direi che non c'è stato un grande cambiamento.

esiste un "nuovo rock italiano" o è un'invenzione dei giornali?

lalli - è positivo che ci sia più gente che suona, che fa dischi, si fa produrre e si autoproduce, che si muove. ma questo non significa che ci sia un fenomeno musicale "italiano". è un concetto poco definito e io faccio fatica a pensare a un fenomeno che nasce slegato dalla realtà sociale, al quale non corrisponde nessun movimento reale. penso che molti gruppi facciano musica molto distante da come dovrebbe essere.

stefano - l'unica cosa veramente 'italiana' degli ultimi anni è stato il rock demenziale. è durato nulla, si è subito sputtanato, ma era "italiano". poi bisognerebbe andare indietro nel tempo, parlare di area e stormy six. mi sembra che i nuovi gruppi della scena nazionale abbiano la tendenza al professionismo, siano socialmente asettici. attualmente mancano le condizioni per un movimento di questo genere, sostenere che esiste è una illusione. per noi significherebbe creare un circuito di idee, strutture alternative al meccanismo discografico-spettacolare.

parliamo di autoproduzione. esiste certamente un'etica indipendente. ma esiste anche un'estetica?

stefano - io penso di no. anche se spesso, nell'area indipendente, la gente tende a usare la musica in modo estremo.

vanni - no. ed è pericolosa quando si crea. noi preferiamo sfuggire a stili e catalogazioni, alle regole preordinate. ed è in questo che vediamo anche il limite più grosso del punk. in un'uniforme troppo rigida, che ti obbliga a un continuo confronto con la tua immagine, che diventa un cliché.

ma l'autoproduzione è più una battaglia idealista o un progetto pratico?

stefano - è un lavoro pratico al quale crediamo.

non vi sentite ogni tanto come don chisciotte contro i mulini a vento?

vanni - può anche essere vero, ma non potremmo fare altrimenti, ci costerebbe troppo. l'alternativa è tra don chisciotte e il suicidio.

massimo - quando ci accorgiamo che c'è un prezzo troppo alto da pagare per fare le cose, allora rinunciamo. ciascuno di noi, nella sua testa, ha una specie di limite invalicabile.

due parole sul disco con i contrazione e poi spiegatemi: perché ristampate come disco "luna nera" (ndr: la cassetta del 1983)?

stefano - il lavoro con i contrazione ci è piaciuto, perché abbiamo mischiato generazioni diverse, punti di vista diversi, su problemi comuni, dimostrando che lo "stile" conta relativamente. per quanto riguarda "luna nera", beh, i soldi che guadagneremo ci serviranno per finanziare i prossimi progetti e poi, una volta esaurite le 500 cassette, dovevamo soddisfare tutte le altre richieste che ci sono arrivate da più di un anno a questa parte.

i progetti...

stefano - per primo c'è il nostro contributo a un lavoro di dodici videomakers torinesi che si intitola "torino vista da...", si tratta di una canzone nuova (ndr: "acqua di luna", splendida!). ci sono quindi le nuove uscite per l'etichetta nostra e dei kina di aosta, la blu bus. in ordine di tempo ci saranno: "if" n. 8, il nuovo numero di questo giornale torinese con una cassetta allegata, quindi l'ep dei contrazione. il nuovo disco dei franti dovrebbe essere pronto prima di fine anno: è un progetto complesso, con molti collaboratori -una sezione di fiati, un giovane poeta, un gruppo di musicisti, joel [orchestra], a noi vicino- e una favola che dovrebbe reggere tutto quanto insieme. cercheremo di registrarlo meglio che in passato, innanzitutto.

otto anni di franti: che differenza c'è tra abitudine e coerenza?

lalli - l'abitudine non tiene conto del cambiamento, non solo individuale, ma anche quello che è fuori di te, che su di te agisce. se tu riesci faticosamente a restare trasparente, a guardarti in faccia mentre le cose cambiano, scopri che si tratta di una strada da fare, forse non sarà coerenza, ma di una cosa che si muove in avanti.

vanni - del resto anche il gruppo è cambiato tantissimo, nelle persone come nella logica che lo sorregge.

stefano - dal '77 all'82 praticamente siamo rimasti in cantina, facendo pochissimi concerti. non avevamo velleità, ma solo alcuni criteri secondo i quali agire: stili, collaboratori eccetera. finché non abbiamo deciso, quasi per gioco, di rendere pubblico ciò che facevamo. è dal 1982 in poi che esistono i franti così come li conosce la gente.

siete sempre sicuri che "sta crescendo un mondo nuovo mentre tu mi stai parlando" (ndr: dalle note di copertina del disco con i contrazione)?

vanni - che figlio di puttana... (ridendo). no, ho sempre un sacco di dubbi. è una specie di augurio.

lalli - è un punto di riferimento, ciò che pensi, che ti spinge ad affrontare la realtà di tutti i giorni. credo che se pensassi solo al presente, non avrei la forza di essere qui, vivere, cantare...

il mio compito di cronista si esaurisce qui. vorrei segnalare solamente che al materiale della cassetta originale, nella nuova versione di "luna nera", sono stati aggiunti due brani, la vecchia e classica "no future" insieme alla nuovissima "chiara realizzazione di ryonen", entrambi standard di livello elevatissimo, che rendono il disco una pietra miliare anche da un punto di vista esclusivamente musicale.
cercate i franti, sentite la loro musica e prestate attenzione alle loro idee. in fondo, come dice stefano "l'utopia è nella testa di chi la vuole realizzare"...

 

2.  snowdonia [intervista a cura di marco e maurizio pustianaz da snowdonia n. 2, autunno-inverno 1985]

"...è una delle testimonianze più sincere che ci sia capitato di fare..." (marco pustianaz, snowdonia)


notte di cicale stanotte sulle colline a torino. notte di parole e pensieri stanotte, con stefano e lalli.
 
perché è così importante l'autogestione? è solo una cosa idealistica oppure praticamente significa davvero fare qualcosa di diverso? voi ci tenete molto...

stefano - per noi è fondamentale.

ma è più un riflesso del vostro modo di vita o diventa poi anche praticamente un'azione contro? 

stefano - beh, questa è una cosa difficile da dire, se poi si riescono ad allargare i risultati a partire da questo. sicuramente non è solo idealistico, nel senso che non è solo un'idea, una presa di posizione come tante altre, anche perché poi ci sono dei prezzi da pagare enormi. intanto ti paghi tu la roba, e poi la maniera in cui diffondi il tuo materiale significa farsi tanto culo e avere poche soddisfazioni. questo in partenza, quindi non è una cosa che puoi fare così, come presa di posizione che poi non ha riflesso su quello che fai concretamente. io penso che sia un'azione concreta fondamentale per noi e per tanta altra gente, e credo che per qualsiasi persona che si interessi di comunicazione -non parliamo solo strettamente di musica- oggi come oggi sia indispensabile fare un ragionamento sulla situazione di controllo politico che c'è su queste cose, e fare un ragionamento maturo rispetto ai tempi che viviamo che non sono più quelli di dieci anni fa. senza fare paragoni assurdi, perché quelli erano professionisti bravissimi, io penso che noi (e per noi intendo un'area politica, non i franti) siamo politicamente più avanti degli area, del resto gruppo mitico per noi.

ricordo ancora quando gli area erano frequentemente trasmessi anche alla rai, cosa che oggi non ci si sognerebbe neanche di fare.

stefano - infatti. il problema dell'autogestione è quello di dire: non può esistere una comunicazione di qualsiasi tuo pensiero o azione all'interno di un sistema controllato dal potere, non può esistere una tua comunicazione libera. non solo, significa anche ribaltare una concezione di chi fa i dischi e di chi li compra, di chi suona sul palco e di chi ti ascolta. noi siamo totalmente contrari a qualsiasi ipotesi di professionalità, non diciamo dell'artista, ma di quello che comunica.

un rifiuto della divisione dei ruoli...

stefano - si, esatto, la divisione del lavoro, praticamente: c'è quello che crea e quello che compra. e questa cosa per noi fondamentale deriva evidentemente dalle nostre esperienze, dalle nostre storie, dai nostri ragionamenti rispetto alla realtà del mondo. in base a questo facciamo anche dei distinguo rispetto ad altri gruppi. io sono convinto che esiste una grande differenza tra una casa discografica indipendente ed una autogestionaria, perché quest'ultima ha come prospettiva di render chiaro alla gente che è possibile sopravvivere ed esistere come persona che comunica al di fuori del soliti schemi classici, dell'industria, degli enti locali o delle organizzazioni culturali vicine ai partiti. è questa la cosa importante di un gruppo come il nostro aldilà della musica che poi ci frega relativamente (può fregare alla gente). il giudizio che dai sulla musica è soggettivo, ci interessa e non ci interessa, tanto non è una cosa su cui viviamo sopra e non mi frega molto quello che la gente pensa di noi, anche se detto così sembra banale...

beh, poi la scelta di un determinato tipo di musica si fa all'interno dei vostri presupposti...

stefano - noi crediamo o speriamo di farlo bene, e sempre meglio, pero è chiaro che questa cosa fine a sé stessa non ci basta, perché il grosso problema oggi e da sempre è che ognuno di noi è spezzettato e frantumato in tante realtà. non sei in realtà una persona sola ma dieci persone, sei tu che parli con me, tu che vai al bar, che lavori, che vai a letto con la ragazza: sei diviso in tutte queste cose. il problema è quello di ricomporre gli esseri umani in modo che siano delle persone libere e soprattutto coscienti di quello che fanno, il fatto di avere anche una morale su come si fanno le cose...

rappresenta un centro unitario per la persona?

stefano - credo che possa significare: se io voglio suonare, voglio suonare in questa maniera qua anche se significa rimanere misconosciuto. quello che mi interessa sostanzialmente è il gesto che faccio, farti capire che si pu6 vivere in maniera diversa, non solo suonando, ma si può vivere insieme in maniera diversa, si può lavorare o scopare in maniera diversa etc. è chiaro che utilizziamo un mezzo che è la musica e quindi ci interessa anche la musica; non la penso come i wretched che dicono della musica non ce ne frega un cazzo, ci interessa fare del caos. a parte il fatto che sono bravissimi compagni, non sono d'accordo, poi ognuno può fare la roba che vuole. ci interessa la musica perché secondo noi deve avere un significato intrinseco, e quindi ci interessa come viene fatta, i suoi contenuti, come viene organizzata, come si fanno i concerti, come si registrano i dischi. è difficile passare da un discorso sulla musica a uno più generale, ma credo che l'autogestione sia sostanzialmente questo. credo che il punk, il '77 e altre storie abbiano definitivamente rotto con la vecchia concezione in cui c'erano dentro anche gli area, che esiste il mercato, che è il grande business internazionale, americano ed inglese, controllato da chi ha i soldi e la tecnologia per fare i macchinari. dentro questo enorme mercato ci può stare la sinistra, come in un parlamento, e gli area erano la sinistra in italia.

sfruttando la possibilità all'interno...

stefano - sì, e il punk post-'77 dai crass in poi ha rotto con questa ideologia. ha cominciato col dire: non ce ne frega niente di stare in quel parlamento lì, ci frega di costruire delle possibili alternative parallele al grande mercato per produrre le cose che vogliamo nel modo che vogliamo. questo è ciò che pensiamo, anche se le cose cambiano. beh, probabilmente tre anni fa non avremmo mai dato un'intervista a rockerilla. oggi l'abbiamo fatto per dei motivi, perché noi siamo cambiati e non si può far finta di essere quello che eravamo a sedici anni, suonare in cantina con la radio e gli amplificatori.

si potrebbe però fare un discorso di autoproduzione sino al momento della distribuzione, no? quando poi si possono usare i canali di diffusione più efficaci.

stefano - innanzitutto la distribuzione costa. allora il problema è: chi la paga? se faccio distribuire i dischi da qualcuno, mi chiede la percentuale. se do una percentuale al distributore o ci rimetto io o devo alzare i prezzi. penso che questo sia sbagliato. c'è invece pandin che dice: mi sono rotto i coglioni di fare dei dischi e venderli a seimila lire quando poi tutta la gente va ai concerti, si fanno due pacchetti di sigarette, bevono cinque lattine di birra e poi non vogliono tirare fuori i soldi per un disco. ma a me non me ne frega, che la gente beva quello che vuole. io penso che la gente che mediamente ascolta la nostra musica (e qui intendo non solo i franti) ha pochi soldi in tasca e quindi è giusto tenere i prezzi più bassi possibile. seconda cosa: non mi va di vendere i dischi nei negozi. perché devo venderli lì? che rapporto ho con la gente che va a comprare i dischi nei negozi? intanto non ho il controllo sui padroni dei negozi, che possono alzare i prezzi. noi vendiamo sì nei negozi, ma solo in quei posti dove il padrone ci conosce, anche solo per lettera, però sa qualcosa di noi. sarà una cazzata, ma se qualcuno va lì dentro a comprare un nostro disco è probabile o possibile che voglia sapere chi siamo, dove abitiamo, e vogliamo che ci sia qualcuno che glielo sappia dire. comunque generalmente preferiamo vendere i nostri dischi a mano, perché significa che per almeno cinque minuti parlo con te, so chi sei, tu sai chi sono io, cioè abbiamo cercato di recuperare un rapporto forse più artigianale -più "medievale"- non perché vogliamo tornare indietro ma perché stiamo andando nella direzione per cui gli uomini se ne stanno a casa con un telecomando e non si toccano, non si parlano, hanno tutte le informazioni lì. per questo mi piace fare casino a un concerto punk. sì, tutti si saltano addosso, si sputano, ma perlomeno si recupera un minimo di fisicità. sarà molto paranoici, dettato da violenza e frustrazione, violenza metropolitana, chiamala come vuoi, ma penso abbia un senso di liberazione di emotività e di umanità che si sta perdendo. viviamo in una società organizzata in maniera binaria, con una concezione binaria sì/no bianco/nero input/output come i computer. sì, uno potrebbe distribuire i dischi come dici tu. il prossimo disco che faremo può darsi che lo distribuiscano in inghilterra, se ne sta parlando, attraverso la crass records. loro vendono i dischi nei negozi. è chiaro, è una cosa che dovremo discutere, a chi non fa piacere vendere cinquemila dischi in europa? però io dico, il giorno che lo farò ci penserò molto bene. il problema che spesso la gente non capisce con coi franti è che non siamo dei musicisti, non ci siamo mai sentiti tali, e suoniamo tutti da un sacco di anni. io suono in gruppi da quando avevo dodici anni. non siamo certo dei virtuosi ma chi più chi meno abbiamo fatto alcune centinaia di concerti. però non ci sentiamo musicisti, non è questo che mi fa star bene. a me interessa la rivoluzione. penso che abbiamo fatto dei grossi errori come rivoluzionari perché abbiamo pensato che bastasse in alcuni periodi fare i cortei, in altri organizzare dei partiti, in altri sparare in giro. questo è stato un errore clamoroso perché per fare la rivoluzione -e questo l'aveva già capito majakovski- ci vogliono delle idee, ci vuole un sacco di creatività e fantasia, un sacco di conoscenza sugli uomini e sul mondo. beh, penso che la musica possa servire in questo. non facciamo colonne sonore per i rivoluzionari, ma forse abbiamo la pretesa di fare della musica che può servire a quelli che vogliono cambiare il mondo. on so quando succederà, non stiamo facendo una rivoluzione con una ora x...

il problema è "rassegnarsi" a vendere un certo numero di dischi, invece di duemila-tremila in più, a teneri chiusi i numeri?

stefano - non penso che questo sia obbligatorio. voglio dire, non ci siamo mai molto sbattuti, a parte l'ultimo anno, per fanzine, scrivere, telefonare, però francamente penso che abbiamo venduto un sacco di roba. non è obbligatorio essere un gruppo di questo genere e vendere pochi dischi. penso che se andassimo a distribuirli come dici tu dall'ira, ma.so. sono abbastanza convinto che potremmo vendere tremila-quattromila in italia, mentre invece riusciamo a vendere mille-millecinquecento per ogni cosa che abbiamo fatto perché le vendiamo in questa maniera. in realtà se ne potrebbero vendere anche diecimila se ci fossero dieci posti come il tuwat, se ci fosse una distribuzione organizzata dai compagni in maniera molto più capillare e unitaria, se per i contatti con l'estero si sapesse qualcosa invece di passare mesi prima di scoprirlo. a torino abbiamo risolto in questo modo, che ogni gruppo che va a suonare in germania si porta dietro i dischi di tutti gli altri gruppi e ai concerti...

...fa un po' il promotore...

stefano - sì, spedire i dischi costa un fracco di soldi. noi dobbiamo spedire adesso dischi negli usa ed è spaventoso. ma in questo non sono per niente punk, non ho il culto del piccolo ma buono mentre ad esempio fabrizio di skeletal work a vedere le cose che fa mi sembra che ce l'abbia (cento copie che parlano di derek bailey, henry cow e mi rivolgo a cento persone interessate). il culto del piccolo, del "siamo tutti tra di noi". a me questo non interessa, vogliamo essere un gruppo di massa, ma non nel senso di essere in tanti, ma di arrivare a penetrare negli strati della gente, in tutta la penisola. oggi non vendiamo molto al sud perché non ci sono agganci, non c'è nessuno che te li venda. vendiamo il 20-30% dei dischi ma è ancora poco. 

la blu bus è quindi una conseguenza di questo impegno?

stefano - sì, la blu bus tra l'altro è un'idea che non è partita da noi come gruppo ma da alcuni singoli anche se poi ci lavorano tutti.

è una cosa ancora in piccolo?

stefano - mah, non penso che si ingrandirà molto, perché ci sono dei gruppi che ci hanno scritto, abbiamo delle cassette di persone che vorrebbero fare un disco con noi. certo, le ho ascoltate ma non mi va di fare cose così. voglio conoscere la gente, diventare amici, magari bere insieme o fare un giro, capisci? per cui non penso che la blu bus cambierà molto, non diventerà qualcosa come la diavlery. non ho nulla contro di loro, però lavorano in un'altra maniera. non diventerà come la belfagor toscana o la ma. so, perché intanto facciamo pochissime cose. per ora è uscito il disco dei kina, quello dei contrazione, la ristampa di "luna nera" dei franti in disco, la cassetta (...) della joel orchestra ed entro l'anno una cassetta di poesia che abbiamo organizzato con altra gente, poeti non professionisti, poesie nostre e di altri che suonano in gruppi e renato striglia a leggerle. e poi uscirà il nostro disco. poi magari per due anni non esce niente, non perché non ci sia niente che interessi... ci sono due gruppi con cui mi piacerebbe collaborare, ma hanno altre velleità e hanno già fatto uscire roba recentemente, gli unici due gruppi che facciano veramente qualcosa di innovativo in italia, molto più di noi (perché non penso che facciamo qualcosa di innovativo), parlo di qualcosa molto personale e interessante: detonazione e i refuse it, che hanno qualcosa da dire musicalmente. ci conosciamo sì, ma non so se si farà qualcosa insieme. la blu bus è una cosa fatta in famiglia dove ci conosciamo tutti quanti. per i kina è andata che hanno messo tutti i soldi loro, noi gli abbiamo comprato trecento copie del disco a prezzo di costo e ce le siamo vendute per i cazzi nostri, però loro sapevano dall'inizio che trecento copie le avevano vendute a noi. i contrazione uguale: centocinquanta copie le hanno comperate i franti, centocinquanta i kina. quando si tratterà di fare il disco nostro, cento copie le compreranno i kina, cento i contrazione e magari cento i joel orchestra. i soldi li mette il gruppo, poi ogni gruppo ne compra per dare i soldi subito a questa gente, una cosa molto artigianale senza grandi pretese, l'unica pretesa è fare le cose con un certo criterio. anche il disco dei contrazione ha dentro questo libretto parecchio interessante, che rispetto al circuito dei punk loro hanno una caratteristica abbastanza particolare e non sono molto amati perché non fanno hardcore. i punk in generale commettono un grosso errore. ogni tanto dico, per dirne una, "a me piace un casino bruce springsteen" e loro "cazzo dici, quello è un maiale". nessun dubbio, ma quando parlo di musica per me c'è proprio un muro tra chi fa musica per professione (e qui c'è dentro da springsteen a michael jackson, dai cccp ai diaframma), ci sono tutti dentro e dal punto di vista di classe, economico, sono tutti uguali. poi c'è chi guadagna i miliardi e chi gli spiccioli, però ognuno ha il suo. d'altra parte ci sono quelli che fanno musica in modo diverso e spero che i franti siano da questa parte. non voglio dire che siamo i giusti: diciamo solo che stiamo da questa parte. come scelta siamo contro il professionismo, però ciò non toglie che come vedi abbia centinaia di dischi e mi piaccia springsteen o i clash. che significa? il giudizio politico che do su di loro è un conto, i detonazione in effetti non hanno molto da spartire col circuito punk anarchico, a parte che oggi non so più bene cosa voglia dire, anche loro hanno i loro casini. ma i detonazione sono un bravissimo gruppo che ho visto dal vivo, hanno ottimi testi e uno spettacolo dal vivo tra i migliori d'italia. anche i cccp possono essere bravissimi, a me personalmente non piacciono, ma mi sta bene che vadano a suonare al leoncavallo di fronte a mille persone e che ci siano duecento punks che gli sputano addosso. a me sta bene, voglio dire, quello è un posto autogestito e i cccp vanno a suonare lì? sono cazzi loro. anche noi ci siamo andati, e la gente non ci ha sputato, non ci ha tirato le lattine evidentemente perché riconosceva in noi qualcosa che aveva un senso là dentro. se invece i cccp li hanno trattati così ci sarà un motivo. i punk però fanno l'errore di confondere il ruolo che uno gioca nel mercato se ci sta dentro, e il suo valore artistico. john cale è uno che vive sulla musica, quindi dal punto di vista politico è quello che è, però è un grandissimo artista e lo stesso vale per tom waits. tutti questi dischi che ho non sono mica tutti autoprodotti.

del resto quando uno compra un disco mica deve necessariamente venerare l'immagine, l'uomo e tutto quello che ci sta attorno. uno prende personalmente le emozioni che quella musica ti può dare e una volta che la godi diventa una cosa soltanto tua e individuale e non ha nulla a che spartire con...

stefano - sì, ma questo non significa dimenticare da dove viene, perché poi finisci con l'errore opposto, si ascolta springsteen e non ci si accorge che in fin dei conti non ha nulla di diverso da guccini, che per noi italiani ha lo stesso valore, ma se parli a un punk di guccini ti ride in faccia e se ne va. mentre io penso che se guccini ti riempie le piazze e canta canzoni che tutti sanno a memoria, gente di quaranta come di diciott'anni, questo vuol dire qualcosa, che ha rappresentato per un sacco di anni delle generazioni politiche di persone e non si può buttare merda su questo. evidentemente è uno che ha avuto una grande capacità di interpretazione della realtà italiana, come springsteen ha avuto la sua.

da qui il discorso si sposta sul mito dell'individualismo americano, il mito del viaggio on the road. ma hanno un senso qui da noi?

stefano - non dimenticarsi mai le proprie radici, né di classe né di nazionalità! ho avuto degli scazzi tremendi con dei punk e un gruppo in particolare perché continuavano a scrivermi in inglese e mi sono incazzato. gli ho risposto "voi siete peggio di sorge, che lui almeno ci guadagna i soldi e scrive metà del suo articolo in inglese". ma che c'entrano qui i miti californiani del sole, delle ragazze e dei drive in? noi abbiamo tutta un'altra realtà. anche su questo facciamo uno spartiacque ben preciso: una canzone come "voghera" parla di un carcere italiano in italia, parla di una situazione che in usa non esiste. di americani ne rispetto pochissimi anche se ho centinaia di dischi punk americani, però di quelli so per esperienza diretta o perché li ho conosciuti o perché ci siamo scritti, che ci sarà il 2% di quella gente che può venire a tavola con me e ci potremmo capire rispetto a come vediamo il mondo, ma a tutti gli altri gli frega di farsi di cocaina, le ragazze e di stroncarsi di birra, e poi tra dieci anni che non li cagherà nessuno saranno sposati e avranno la loro villetta. questo, e la gente non lo capisce, vale per springsteen come per i minor threat o gli husker du: io vado matto per loro però immagino da quello che mi hanno detto gli mdc e quelli che sono stati in usa che sono delle teste di cazzo. non è gente come me, non potrei starci insieme e fare delle cose con loro, eppure è un gruppo che mi piace un casino, non passa giorno che non li ascolti. però loro lo fanno per professione, vogliono i soldi. noi siamo sette anni che suoniamo, quattro che andiamo in giro e non abbiamo mai fatto un concerto a pagamento, mai chiesta una lira in qualsiasi parte d'italia a parte un rimborso spese. siamo andati ad ancona con 100mila lire e non abbiamo fatto una piega perché i compagni avevano quello. ci sono quelli che dicono: siete babbaloni perchè i cccp suonano al tuxedo e si prendono un milione, ma sono affari loro, noi vogliamo fare un'altra cosa. tutti i soldi che riusciamo a "guadagnare" (perché poi anche sui dischi ci perdiamo in maniera spaventosa) i soldi che entrano li reinvestiamo per fare altre cose. magari fra dieci anni ti dirò tutt'altre cose, ma è da dieci anni che la pensiamo così quindi forse ormai c'è entrata in testa.

si parlava di radici nostre, però ad esempio in "luna nera" ci sono degli episodi molto americani. questo forse è un po' cambiato?

stefano - verissimo. no, no... anche nel prossimo disco, beh, di rock'n'roll ce ne sarà uno solo.

quando ho sentito "only a new film", che mi piace moltissimo, ho detto: questi sono gli x sputati. anche come impasto di voci...

stefano - non ho problemi a dirti che quel pezzo lì è scopiazzato, ma non da un pezzo in particolare. quello era un periodo che gli x ci piacevano molto, li ascoltavamo tutti i giorni e l'abbiamo suonato. a noi piacciono un po' tutti i generi di musica, infatti non seguiamo nessun genere unico.

sì, "luna nera" è molto vario...

stefano - ti dico tranquillamente che mi piace il rock'n'roll e ogni tanto ne facciamo un pezzo. intanto non penso che gli x avrebbero cantato quel pezzo perché ha un testo un po' particolare, non è del tipo "vieni a ballare con me". mi diverte l'idea di fare un pezzo del genere su un disco del genere, venderlo a 6mila lire, andarlo a suonare al tuwat: questo mi sta bene, come mi starebbe benissimo che un gruppo si comportasse come noi e poi suonasse tutti i pezzi di springsteen, chi se ne frega? (...) se avessimo fatto "luna nera" con tutti i pezzi come "only a new film" avresti detto: "è gente in gamba, simpatica, però gli x sono molto più bravi e poi ci sono già loro, cazzo me ne frega di sentire i franti che rifanno gli x? credo che adesso siamo un po' più originali, facciamo delle cose più slegate da questi canoni.

rispetto a questo uso del rock'n'roll in parti di "luna nera" mi chiedevo, forse che vedono le radici del rock'n'roll innestate in una prospettiva "rivoluzionaria"? in quel momento vedevate delle radici progressive nel fare rock'n'roll oppure era solo uno stile che vi attraeva (il mito del rock come grossa cosa giovanile etc.)?

stefano - io penso che l'abbiamo tutti. non si può giocare troppo col proprio subcosciente, ed il nostro è assolutamente stracolmo di questa roba. tutti quanti come ascoltatori, siamo partiti dall'ascoltare hendrix, led zeppelin e non lo neghiamo: come generazione musicale siamo cresciuti col rock'n'roll. per noi è come per mia nonna era forse la musica lirica, cioè musica popolare. pop significa questo, musica popolare. quindi elvis presley e queste cose sono dentro di noi, non puoi far finta. però non ha molto sento per un musicista creativo rifare pedestremente quelle cose.

lalli - voglio dire, sicuramente l'influenza si sente ed è perché come generazione ero abituata a pensare che quello era il tipo di musica che dava la possibilità di esprimersi, non dico alla totalità della gente ma sicuramente a tanti che sin allora non avevano avuto la voce, e quella era la via più eclatante. io quella potevo adoperare, per sentirmi triste o allegra, o per dire a mio padre che volevo scappare di casa. quella era la musica che avevo in testa. questo come modo di approccio anche a quello che ascolto oggi c'entra tantissimo. per me nella musica, oltre al discorso che faceva stefano, c'è anche qualcosa di più: ad esempio tom waits ha una capacità come pochi di dire delle cose al mondo e ha trovato quello strumento, ma che avrebbe potuto esprimere anche in un altro modo. questo ti spinge a pensare che è possibile che la musica significhi di per sé, e diventa allora importante il discorso dell'autoproduzione, perché la musica viene a perdere quel valore di merce di consumo e ritrova probabilmente il suo valore intrinseco, il suscitare emozioni che qualcuno sente dentro di sé e che si senta corpo vivo attraverso queste emozioni.

stefano - ci sono delle fasi sociali in cui la musica diventa tutt'uno con una serie di rivolgimenti. la musica degli anni '60, politicamente culminati col '68, aveva un senso. a questo riguardo vanni, il chitarrista, ti direbbe forse che sono cazzate: per lui tutto è pilotato, ci sono le trasformazioni sociali e poi c'è il business che trasforma queste cose in musica, in un prodotto da vendere. io non sono così d'accordo, così drastico. il fatto che ancor oggi ascolti i doors, i jefferson airplane, janis joplin, i grateful dead -non perché credo di essere molto più hippy di un punk (non credo di essere né l'uno né l'altro)-  penso che quella musica lì forse per la prima volta ha rappresentato un senso per una comunità ideale mondiale, come il blues rurale degli anni '20. tra l'altro il blues è una nostra fonte d'ispirazione, forse la prima in assoluto. il blues non lo puoi sradicare dalla realtà del popolo nero, non è una cosa che puoi estrarre e parlarci sopra. parlare degli anni '60 è lo stesso: non puoi parlare di "machine gun" di jimi hendrix senza pensare alle marce contro il vietnam, senza parlare degli scontri alla convention di chicago. questo è ciò che manca oggi. si parlava l'altra sera con alberto campo e si diceva: questo è il decennio della moda, perché non c'è più nessun legame tra ciò che viene fatto e una realtà di persone in movimento che vogliono fare qualcosa. il punk ha rappresentato questo ma per una realtà alla john carpenter, alla "1997 fuga da new york", cioè per un ghetto (...). conosco della gente, cinque o sei anni meno di me, che mi viene a dire che i doors sono uguali ai joy division come portata: su questo non discuto ma nessuno mi potrà negare che i doors significano il cielo aperto e il sole, i joy division il ghiaccio, perché oggi viviamo in questi tempi e la generazione del "no future" esiste, è reale. i joy division hanno avuto questa enorme portata perché hanno rappresentato questo. noi abbiamo la presunzione, e francamente credo ci stiamo riuscendo in piccoli ambiti, di essere gente che suona, ma non musicisti slegati dalla realtà. rispetto a gente come i cccp è questo che intendo dire per moda: sostanzialmente in questi ultimi anni la caratteristica della gente che si mette a suonare è di trovare l'ultimo ritrovato che rimbecillisca la gente. si rifanno agli anni '60, fra poco saranno gli anni '40, poi si tira fuori il sovietismo, così se io oggi mettessi su un gruppo chiamato aids farei soldi a palate. è vero, è quello che si pensa oggi della musica, un modo di uscire fuori dalla monotonia della vita e affermarsi in qualche maniera utilizzando qualsiasi sistema. con la rivoluzione post-industriale viviamo in una società agli inizi di una grande trasformazione economica provocata dalle tecnologie che hanno cambiato tutto.

ha sciolto le solidarietà sociali...

stefano - ha distrutto tutte le nostre concezioni di trasformazione del mondo, le concezioni riformistiche (tant'è vero che il pci non riesce più a rappresentare le istanze riformistiche della gente), le concezioni insurrezionalistiche, tant'è vero che abbiamo preso una bastonata spaventosa con una generazione intera sbattuta in galera o sotto terra. ormai le classi sociali si sono enormemente trasformate al punto da non sapere più se esistono o meno. a questo punto i giovani non si organizzano più, né operai con operai, contadini con contadini o proletari con proletari. ci si organizza crestati con crestati, metallari con metallari, new wavers con new wavers.

tribalismo!

stefano - tribalismo postmoderno. ma su questo bisogna fare molta attenzione perché tutte queste divisioni sono di comodo e non riescono a interpretare la realtà così com'è. non bisogna poi dimenticare che quando parliamo di joy division stiamo sempre parlando di una realtà molto molto marginale rispetto alla situazione del mondo. quando leggo sui dischi dei cccp o di altri "la società postindustriale, il mito della cibernetica" etc., tutte cose vere, però perché non ci domandiamo del 70% di ragazzi come noi che in questo momento sta crepando di fame in giro per il mondo? questa è una realtà! cazzo, non possiamo continuare a parlare dei joy division, perché quella è una realtà minima del mondo e noi facciamo parte di questo mondo. per ogni birra che bevo, per ogni caloria che prendo in più del necessario vuol dire che c'è un gagno africano che non mangia un cazzo.

beh, se ragioni in termini di unità globali, allora sì che ogni discorso diventa assolutamente infimo rispetto alla fame...

stefano - allora capisci che mi sta sul cazzo uno come genesis p-orridge che se la mena con le tombe dicendo "oramai è la fine". tutti questi gruppi (e anche i cccp in fondo) mi sembrano...

...la preparazione per l'ultimo giorno?

stefano - esatto. il mondo sta per finire, è tutto finito, noi abbiamo la rivelazione, noi abbiamo capito tutto, noi abbiamo capito che il mito dell'america non va più bene e allora cosa va bene? il mito dell'urss. noi abbiamo capito che il mito della vita non va più bene, e allora cosa va? il mito della morte.

vuoi dire, dei nuovi predicatori?

stefano - sì, come i gruppi che vengono a dire: oggi la realtà è così, e si divide così: a... b... c... mah, io non so niente. e leggo montagne di libri, di saggi, parlo con la gente, giro il mondo ma ancora oggi non so come va questo mondo. come cazzo si ha la presunzione di saper leggere questa realtà e di farci ancora della musica sopra? non si può. che cosa volete spacciarmi? in realtà mi spacciano delle gran cazzate.

e questi gruppi che mettono [insieme] musica e magia nera?

stefano - mah, questa è l'irrazionalità dei tempi di crisi.

ci sono sempre state un po' queste manifestazioni, che magari una volta potevano essere contro il perbenismo, vagamente sentite come trasgressive...

stefano - sì, ma noi proprio come persone, anche politicamente e musicalmente, non siamo dei provocatori. la provocazione andava bene all'inizio del secolo. il dadaismo mi sta bene, ma mi stava bene allora! i cccp oggi sono piedi di dadaismo, ma è una roba vecchia, stravecchia, morta e sepolta. l'hanno fatto tutti quanti, andy warhol e i sex pistols, ormai la provocazione non attecchisce più. neanche j. cage fa più provocazioni. ma cosa vuoi che provochi ancora la gente? quando si organizzano concerti di duemila persone per uno che suona un martello pneumatico... ma non è questo che mi interessa, provocare la gente. io non mi considero un artista, che ho una verità, ho una violenza da fare alla gente. io sono la gente, uno della gente. non voglio essere violentato da nessun cazzo di artista e non voglio violentare nessuno. è anche per questo che ogni tanto suoniamo un rock'n'roll, non è per indorare la pillola perché dopo facciamo un pezzo sperimentale. a noi intanto piace il rock'n'roll. però sono convinto che se la gente mi sta ad ascoltare "only a new film" e dopo faccio "joey", un pezzo più difficile, e me li ascolta, allora qualcosa ho fatto. una volta che ho tirato le uova in faccia alla gente, che l'ho provocata, che mi sono tirato giù i pantaloni o ho gridato lode a mishima o lode a majakovski, torno a casa, la gente non ha capito niente. perché le liriche di battiato non si capiscono, ma almeno lui ammette che non significano niente. le liriche dei cccp non si capiscono, però pretendono che ci sia qualcosa. perché questo è dadaismo puro, è la parola come provocazione, come gesto in sé stesso. non è più tempo per queste cose qui, non mi interessa. anche gli area hanno fatto delle provocazioni in un certo senso, però almeno loro si rivolgevano ad una comunità ideale di giovani che allora si muoveva. gli area sono cresciuti dentro un movimento enorme di giovani in italia che hanno fatto delle enormi trasformazioni culturali. beh, poi è successo quel che è successo, ma sono convinto ancora oggi che il '77 non è stato solo prima linea, non solo le br, è stato molto altro. e gli area erano dentro a questa cosa, non erano estranei, non erano gli artisti che venivano a dirti la loro verità: ci stavano dentro. oggi non può essere più così ed infatti non faccio un torto ai cccp, anzi penso che i cccp siano tra i più coerenti e i più intelligenti, per lo meno sanno molto bene quello che stanno facendo e lo dicono, hanno le idee molto chiare, si sono messi a tavolino e infatti nelle interviste dicono che si aspettavano il successo. ma era ovvio e prevedibile, perché è un'idea geniale. però è un'idea geniale e basta. ormai si va avanti in questa maniera: l'idea geniale di frankie goes to hollywood in "two tribes" sulla guerra, l'altro che ha l'idea del sovietismo, l'altro che ha l'idea geniale come malcolm mc laren di mettere quattro betés a fare i sex pistols, come sarebbe geniale l'idea dell'aids band. idee geniali. però non hanno nessun legame con una realtà in movimento, perché i punk non sono una realtà sociale e anche i punk più impegnati politicamente fanno questo errore di considerarsi un movimento rivoluzionario che sta facendo delle cose, ma non può essere così perché il punk è un atteggiamento mentale, esistenziale, filosofico, che una volta che ha dato i semi, basta, bisogna cambiare. come dicono i contrazione "bisogna azzerare e ripartire daccapo", senza dimenticare, perché non sono d'accordo con toni negri quando dice: la memoria storica è sempre quella che ha fottuto il proletariato, bisogna dimenticare. no, bisogna invece ricordarsi bene quello che è successo, perché tra l'altro questo è ciò su cui il potere ha sempre puntato e c'è riuscito benissimo in questi anni, quello di segare via le generazioni fra di loro, non riuscire a mettere in comunicazione... oggi non riesco a parlare con uno di diciotto anni, parliamo un altro italiano e questo è pazzesco perché probabilmente abbiamo gli stessi problemi e magari le stesse idee su che cazzo fare, ma non riusciamo a capirci. quando parlo di bruce springsteen mi dicono "cosa vieni a romperci i coglioni con springsteen", ascoltano i dead kennedys ma a me dopo un po' stufano e tutto finisce lì perché oltre tutto non sappiamo di cos'altro parlare. il dramma dei punk in italia è che i punk olandesi e tedeschi vivono in società forti e floride dove c'è un sacco di benessere, di salario sociale, di gente che può vivere senza lavorare, di disoccupati che vivono bene, di case occupate. beh, i punk sono entrati in quel movimento e quelle sono state lotte autogestite fondamentali e spontanee. in italia queste cose non si possono fare perché noi dobbiamo lavorare, se non lavori non mangi.

...non ci sono mica i sussidi!

stefano - e soprattutto non c'è lavoro, per cui qua il punkettino di sedici anni con la cresta va subito a sbattere la faccia con la realtà, e allora è chiaro che cambi. non puoi continuare ad ascoltarti i dead kennedys per tutta la vita, perché i dead kennedys non cambieranno mai n iente e non puoi neanche passare la vita a organizzarti i concerti sempre tra i tuoi amici, fai un po' di pogo, ti salti un po' addosso e poi torni a casa, perché quando torni a casa tuo padre ti rompe, non hai lavoro, a scuola ti rompono, non hai da mangiare, non sai dove andare, i dischi costano cari, il treno pure e cosa fai? aspetti altri sei mesi a organizzare un concerto coi tuoi amici e saltare un po'? e dopo? è frustrante. è questo il problema dell'autogestione: non basta sfornare dischi come mi sembra stia facendo la diavlery oggi, non mi interessa. a me interessa che la gente che la pensa in una data maniera abbia le strutture per continuare a vivere. allora: tipografie autogestite, sale d'incisione, fotocopiatrici, riproduttori di cassette autogestiti, questo è importante. quando i cccp dicono non me ne frega niente di chi gestisce il big, allora dico va benissimo, mi piace tanto la tua musica ma tu non sei un compagno e non stai facendo niente per trasformare la realtà. sarai un bravissimo artista, ma sei uguale a michael jackson e questo vale anche per i gang. i gang che tra l'altro politicamente li trovo più vicini perchè almeno se la menano meno con intellettualismi da quattro soldi come quei ragazzi di reggio emilia, sono indietro di dieci anni, stanno facendo lo stesso errore dei clash, loro sono la parte sinistra del parlamentino ma sono uguali ai diaframma, solo che i diaframma di politica non gliene frega un cazzo, mentre loro sono compagni. ma questo a me come individuo cosa serve che siano di sinistra? quanta gente c'è in italia e nel mondo che dice il potere è bastardo, reagan figlio di puttana, ma a che cosa serve? non servirebbe molto più di autoprodursi dischi fare in modo che reagan non ci possa più rompere i coglioni? questo è importante. ma i gang fanno lo stesso errore di dieci anni fa.

...fanno anche la musica di dieci anni fa!

stefano - questo m'interessa relativamente, li preferisco anche musicalmente ai cccp. ma come discorso globale i gang sono indietro, sono rimasti fermi alla concezione: "sì, ci autoproduciamo, andiamo a suonare un po' in discoteca, un po' suoniamo dai compagni, un po' suoniamo al festival dell'unità, però diciamo le cose che vogliamo". ma che cazzo me ne frega che dici le cose che vuoi? allora i cccp fanno un discorso più interessante: "noi suoneremmo anche per l'msi". mi sta bene, perchè tra l'altro è una rottura, magari ti fai seicento chilometri e chi ti trovi davanti? la stessa gente che ti trovi a torino perché poi il circuito è tale che ti sembra sempre di suonare davanti ai tuoi familiari. gente che ti conosce a memoria, che sa già benissimo chi sei, che ti ha già visto suonare dieci volte, che sa già benissimo come va a finire, che nessuno ti fischia. però anche lì è una concezione dadaista del cazzo, vecchia di cent'anni, quando dicono: se la gente ti fischia, ti tira le lattine, vuol dire che hai suscitato una reazione e sei interessante. sono balle! io dico: se vuoi essere un musicista creativo (e non dico un compagno) devi interessarti di chi gestisce il big, e devi interessartene a fondo e se non ti piace non ci vai a suonare. perché non sei un musicista finché non sei un uomo, e un uomo completo che studia e capisce quello che lo circonda, non un artista "ah, basta che mi paghino e vado a suonare da qualsiasi parte e non mi interessa quello che succede". ti devi interessare, perchè i cccp tornano a reggio emilia ma quando poi la stampa scrive che un gruppo punk è venuto a suonare al big il ragazzino di quattordici anni che sta alle vallette e aveva un minimo di idee in testa incomincia a pensare che al big sono bravi e fanno suonare i punk, e soprattutto che i cccp sono punk, e quello lì crescerà senza aver capito un cazzo. allora i cccp si devono interessare di queste cose qui, e di che cosa i giornali scrivono poi su di loro. se un musicista non si interessa di come e di dove va a suonare in giro, non è un musicista, è semplicemente uno che sa suonare qualche strumento.

dicevi prima della musica che in certi periodi storici veniva fuori dalla vita di una generazione, il che ricorda certe idee di organicità tra arte e società. però come dicevi queste cose oggi sono più problematiche da definirsi e da arrivarci. allora voi che cosa rappresentate in questo momento?

stefano - noi come gruppo, musicalmente, non so bene cosa rappresentiamo, anche se sono convinto che in italia e altrove degli ambiti di solidarietà e un ambito di organizzazione (e un modo di vedere il mondo) è comunque sopravvissuto e c'è. quindi penso che i nostri discorsi non finiscano nel nulla; se oggi parli in italia di voghera o di beirut non parli ai sordi perché c'è gente toccata da vicino. il problema è poi che penso che non siamo musicisti ma persone che fanno una battaglia politica con uno strumento diverso dal comizio, dal corteo o dalla bottiglia molotov. la battaglia politica, se vuoi, è quella di rimettere i pezzi insieme, reinventando un po' tutto. è ovvio che tutte le ipotesi rivoluzionarie che ci sono state fino al '77 sono fallite, non si può negare: abbiamo perso, su tutta la linea. non si tratta di ricominciare tutto daccapo, appunto perché comunque le cose sedimentano sempre e lasciano sempre dei segni. il problema è di saperli utilizzare. noi abbiamo la presunzione di pensare che le cose che facciamo possano servire come dimostrazione della vitalità di questa ipotesi di cambiamento. del resto, non c'è nient'altro da fare. è una strada obbligata, quella di difendersi, di organizzarsi, di cercare di trasformare questo mondo in qualcosa di radicalmente diverso. è l'unica strada praticabile, non per i proletari, ma per il genere umano. non voglio fare il profeta né il menagramo, però mi sembra che ci siano tutti i sintomi, i segni per la distruzione totale dell'essere umano come noi lo conosciamo. perchè non esiste l'essere umano fisso ed immutabile: magari fra cinquecento anni gli uomini saranno assolutamente compatibili con la tecnologia, con l'aria inquinata e le bombe atomiche. però io parlo dell'uomo di oggi, per noialtri non c'è altra strada. io per lo meno non ho nessuna voglia di stare qui seduto a farmi massacrare, né ad aspettare bombe in testa, né di finire in galera, né di mangiare mele radioattive, né di farmi venire il cancro. io per lo meno me ne porto giù qualcuno, non ho voglia di stare a guardare.

avete mai preso posizione sul tema della nonviolenza? ad esempio, molti testi dei rivolta dell'odio battevano molto anche sul tema ecologico etc. sono cose al limite abbastanza settoriali e marginali per voi?

stefano - nient'affatto. (...) il punk mi ha insegnato che non bisogna aspettare la rivoluzione per smettere di mangiare carne, per essere un nonviolento, per non andare a fare il militare, per non rompere le palle agli omosessuali. è una cosa che puoi fare oggi nella tua vita e sulla tua coscienza. noi politicamente non proveniamo da un'area anarchica e libertaria, proveniamo da un'area di estrema sinistra dove queste cose qua erano pochissimo dibattute. lì si discuteva più di grossi problemi di classe e di rivoluzione, si diceva "esiste la violenza dei padroni, noi rappresentiamo la violenza proletaria che va organizzata, diretta e dev'essere al servizio del popolo" e bon. oggi forse ne ridiamo, ma allora c'erano migliaia e migliaia di giovani che erano convinti di queste cose. la prima volta che ci sono andato a sbattere contro non è stato attraverso il punk, comunque poi materialmente è stato attraverso i gruppi punk in giro per l'italia. non abbiamo trasformato completamente le nostre idee, comunque è una cosa che ci ha messo profondamente in crisi, ma in maniera molto personale. c'è chi ha smesso di mangiare carne o ne mangia meno, c'è chi ci pensa due volte prima di dire sporco ricchione. anche queste sono cose fondamentali, perché non si possono fare rivoluzioni senza idee e senza rivoluzionari, e per essere rivoluzionari bisogna avere una coscienza rivoluzionaria e per averla non basta essere operai della fiat e poi picchiare la moglie, o sbattersene i coglioni del prossimo. e queste sono cose che abbiamo imparato, ma rispetto a cui non abbiamo -né penso che lo faremo mai- [preso] posizione come gruppo, perché non siamo un partitino...

...che rende noti comunicati...

stefano - i comunicati sulla musica, sull'autogestione, sulla cultura, sui media, sì, allora li firmiamo "franti" perché pensiamo di avere qualcosa da dire. ma se no anche questa intervista, siamo io e lalli, perché se parli con marco ciari te ne dice di tutti i colori, con vanni te ne dice di altri.

parlando di marco (batterista con militanza nei blind alley e ora anche nei party kids, gruppo rock'n'roll con prossimo album in uscita) si parla di musica e divertimento e...

stefano - il divertimento non è mai una cosa negativa. anche noi ci divertiamo in "voghera" o "only a new film". il divertimento nasce dal fatto di fare le cose con interesse. riguardo marco, suonare con noi penso gli interessi, che ci sia dell'affetto tra di noi. in effetti siamo un gruppo particolare rispetto a molti altri, perché abbiamo impiegato sette anni prima di metterci insieme e non ci siamo messi insieme per affinità musicali né attraverso inserzioni su ciao 2001 o perché frequentavamo lo stesso bar. casualmente, la gente gira per il mondo e qualche volta le circonferenze s'incrociano, la gente si ferma e dice "quello che fai mi interessa, facciamolo insieme". è andata così, non ci siamo cercati. è chiaro, ogni tanto marco dice: perchè non spingiamo un po' di più, potremo vendere più dischi, far concerti qua e là... in realtà lui capisce che con noi, se giustamente lui ha delle velleità di fare il musicista, non potrà mai farlo. abbiamo già la nostra età, e poi non arriveremmo mai da nessuna parte. io per tutta la vita farò il bidello e non sicuramente il musicista, o almeno non come franti così come sono. i party kids sono un gruppo da party all'americana, mentre noi ad un party non andremmo molto bene... questo non significa che suoniamo meglio di loro, semplicemente facciamo cose diverse.

e poi è un bravissimo batterista...

stefano - è bravissimo. e poi a me non interessa fare un gruppo dove tutti i componenti sono fatti con lo stampino, tutti punk o tutti anarchici. gente che nel gruppo si dichiari politicamente in modo preciso non c'è nessuno. io non saprei se sono anarchico o cosa, tendenzialmente vorrei essere anarchico e penso che sulle mie posizioni ci possono essere altri, altri invece sono diversi. marco certo non pensa che sia giusto andare a suonare in giro gratis e non a caso ha tre-quattro anni meno di me e cinque-sei meno di lalli e vanni, che sono quelli vecchi. ci sono quei tre anni di storia italiana che ci dividono. per dirtene una, quando lui ha cominciato a fare politica, tutta una esperienza era finita: andare a mirafiori a fare cortei, studenti e operai, vedere e capire torino con quegli occhi là. dopo, gli operai e gli studenti si picchiavano. io invece quelle cose le ho viste e loro più di me, e allora è chiaro che hai tutto un altro modo di rapportarti col mondo. per me jimi hendrix non è un vecchio artista di dieci anni fa che faceva delle belle cose, io ci sono cresciuto con i led zeppelin, i doors, e lo stesso vale per i film, i libri, le cose che si ballavano, com'erano le ragazze, come ci si vestiva. noi abbiamo un rapporto con la realtà molto ideologico, siamo molto quadrati senza dubbio, siamo dei "militonti"! siamo rigidi, anche se abbiamo avuto la fortuna di andare a sbattere in alcune cose, io personalmente col punk che mi ha fatto capire per lo meno che c'era qualcosa ancora da fare, sennò probabilmente avrei smesso di suonare perché erano troppi anni che sbattevo la testa contro il muro ed eravamo veramente soli. perché noi le cose che diciamo adesso le dicevamo anche a sedici anni, forse meno chiaramente. già allora -che poi siamo rimasti io, massimo il bassista e marco- eravamo un gruppo molto diverso dagli altri. gli altri volevano fare tutti gli yes o i genesis, invece noi non ce ne fregava, andavamo sul palco e improvvisavamo per due ore, tiravamo la roba addosso alla gente.

questa parte della vostra musica di jazz, quasi free jazz, è qualcosa a cui tenete molto o sei tu che la porti di più?

stefano - è abbastanza un casino. vanni è uno che ha quasi sempre suonato rock, forse perché come chitarrista era più portato. ha iniziato a suonare a quattordici anni ma a lui non gliene fregava un cazzo di suonare dal vivo, era proprio politicamente e ideologicamente contro questo. dopo l'ho pedinato per due anni sinché non si è deciso. per per motivi politici, repressivi, abbiamo dovuto smettere tutti di suonare per un anno. lui si è interessato a qualsiasi genere di musica, proprio del fatto manuale di provare a farlo, quindi gli interessa la musica improvvisata, ha studiato armonia jazz...

ha avuto anche una valenza politica questo modo di fare musica.

stefano - senz'altro, il jazz interessa a noi tutti quanti. (...) io ho suonato per due anni in un gruppo jazz  perchè oltre ai franti ho suonato contemporaneamente in altri tre o quattro gruppi (tra cui i jambon street, ma questa è un'altra storia) e forse non l'unico che ha suonato jazz vero e proprio, ma non ho veramente mai imparato a suonarlo. penso tra l'altro di essere un pessimo musicista e soprattutto un pessimo jazzista. nessuno di noi è capace di suonare il jazz classico, però ci interessa come mezzo di espressione, come anche il blues, soprattutto perché il jazz non si può slegare dal concetto di improvvisazione, di comunicazione fra i musicisti che stanno suonando. questa è una cosa fondamentale e che ci interessa molto, mentre il rock'n'roll è molto più chiuso, la batteria ha la sua parte, il basso la sua e il pezzo è sempre uguale perchè è quello, e vai sempre avanti così.

nel disco mi era piaciuta molto "quesiti da sciogliere", questa ...ballata (?), una specie di apologo, ma non ho capito bene quale fosse il referente preciso. è una cosa così struggente che mi ha lasciato lì. poi al massaua... non so se canti sempre così, eri molto concentrata, un'aria molto sofferta.

lalli - beh, io poi da questi discorsi qua mi sento ancora un po' da un'altra parte. io ho avuto una storia molto diversa, perché il mio approccio alla musica è stato quello di recuperare dei livelli di conoscenza di te che vengono cancellati, perché quello che pensavi di essere, o poter fare, dire o esprimerti, e il modo in cui puoi farlo, ti vengono tolti.

riguardo a "quesiti da sciogliere"?

lalli - non si possono sciogliere, rimangono quesiti.

parole come "prendi l'urlo, prendi quesiti da sciogliere, da trasformare in te" sono bellissime. il contenuto emotivo è chiaro, ma forse una spiegazione razionale l'ho trovata difficile. l'hai scritta tu?

lalli - sì, ma in generale è lui che li scrive. non so se si può razionalizzare. di fondo ci sta l'emozione, come se ti sentissi dentro (questa è un po' una mia fissazione) di dover ringraziare per quello che sto facendo un sacco di gente, anche gente che non conosco che sicuramente sta facendo qualcosa perché io abbia la possibilità di dire e parlare. succedono delle cose e magari mi sento colpita direttamente, come se sentissi davvero che c'è una parte di me che deve dire grazie a gente che lotta da qualche altra parte, lotta tra virgolette perché non é solo quello che conta. allora mi faccio prendere da queste disperazioni, da queste urla che non so bene da dove arrivano, ma ci sono. e le urla poi significano domande: come faccio io a stare dentro questo mondo che urla? o anche: come faccio a lasciare qualche sedimento per qualcun'altro in modo che possa significare la possibilità per un altro di esistere, tanto quanto l'altro sta facendo per me?

stefano - a questo pezzo ci sono molto affezionato perché è stato scritto a tante teste, ed è poi un modo emblematico di come lavoriamo. è stato composto da massimo, paolino -che suona le tastiere- e ugo, che sono due della joel orchestra. poi noi abbiamo lavorato sopra. devo dire che ultimamente la cosa è un po' cambiata nel senso che siamo più un quintetto chiuso, e infatti nel disco ci sarà solo un pezzo dove ci sono altri che suonano, uno che aveva già suonato il sax in "luna nera" e un altro che suonerà la tromba e il trombone, per il resto siamo sempre noi cinque. ma questa è una cosa alla quale ci abbiamo tenuto, mai fare un gruppo chiuso, quindi quando ci capita proviamo con altra gente. alcuni di noi suonano con altri, io e massimo abbiamo suonato con la joel orchestra, io poi ho suonato per sei-sette mesi con i contrazione proprio per non chiuderci e fare le cose da soli. è importante aprirsi ad altri, tendenzialmente dovremmo fare una specie di workshop che coinvolge molta gente. il casino è però che per un gruppo rock, come sostanzialmente siamo, quando si va in giro a suonare è molto difficile mantenere in piedi una roba del genere. perché se suonassimo al regio, dove tutto è preparato, allora puoi fare i pezzi in sette o otto, uno con un batterista e uno con un altro, ma suonando nelle condizioni in cui suoniamo noi, che di solito sono disastrose, sei costretto a fare un gruppo piccolo e sempre uguale. il disco futuro, siamo sempre noi cinque a suonare, però se vuoi le collaborazioni s sono addirittura ingigantite nel senso che il pezzo in cui quelle due persone suoneranno i fiati, il testo è di linton kwesi johnson, la musica è nostra e sarà un pezzo reggae. poi c'è un testo che abbiamo preso da un libro di poesia di un nostro amico, che infatti parteciperà anche alla cassetta di cui ti dicevo. in genere, le fonti d'ispirazione sono state molteplici.

la collaborazione è più alle radici che all'esecuzione.

stefano - esatto. però penso che sotto questa forma sarà l'ultimo disco probabilmente che faremo. se continueremo ad andare avanti le prossime cose saranno moto diverse, magari si tratterà di un paio di noi che suonano con altra gente, e il pezzo dopo il chitarrista e il batterista con altri. ma per come siamo organizzati penso che il gruppo non si scioglierà mai, perchè è un gruppo ...che non è stato fondato! questa non sarebbe neanche una preoccupazione, il problema è di vedere come la gente si scioglie, se lascia dei semi che vadano avanti. non puoi paragonare lo scioglimento dei deep purple con quello degli henry cow, perché da questi sono venuti fuori quattro-cinque gruppi che coinvolgono gli stessi musicisti o altri, ma che hanno sempre continuato a lavorare in una certa maniera con una certa mentalità.

mi aveva colpito, a parte il paragone o la speranza di vedere nel nome franti come se franti potesse essere, non so, il seme per un futuro anarchico; e poi l'immagine del retro di copertina con questo ragazzo, un piccolo franti, e poi questa foto di ragazzi in strada nel libretto. come usate l'immagine di questi ragazzi in mezzo alla devastazione metropolitana?

stefano - quella foto è stata scattata a belfast. è una cosa che abbiamo sempre fatto. fino a adesso sia sulle copertine che sugli articoli che abbiamo pubblicato sui giornali, quando ci chiedevano di dargli delle immagini abbiamo sempre dato immagini di gagni. sui nostri volantini c'è sempre l'immagine di un bambino.

forse c'è il contrasto tra l'innocenza del bambino e...

stefano - franti non è tanto innocente: è un pezzo di merda!

lalli - innanzitutto franti è quello che ride quando muore il re. poi da qui a identificarlo con cose più grosse, non che avrei paura ma sinceramente non penso sia onesto nei nostri confronti. a me piace essere ascoltata per quello che dico e non per la casella che dopo due parole posso occupare nella testa di qualcun'altro, e quindi non mi piacciono le classificazioni. non ti so dire se sono comunista o se sono diventata anarchica, non è per paura di riconoscere le responsabilità, è che proprio non lo so. allora siccome non so dove sto mettendo i piedi, preferisco dirlo. so quello di cui si è parlato sinora, ma non so più in la e più in grande cosa significhi e dove voglio andare.

io volevo dire... sarebbe assurdo dire di prendere a modello un comportamento alla franti, però il riso di franti è un punto di partenza per un gruppo, una metafora e un'immagine molto bella. ma ragionandoci, un mondo pieno di tanti giovani che ridono come franti è un mondo di speranza o ha dei limiti?

stefano - la cosa non arriva fino a questo punto. quando abbiamo scelto il nome, molti anni fa, volevamo un nome in italiano, poi volevamo usare un nome o un cognome perché ci piacevano gli henry cow: non nascondiamo le nostre discendenze! cercavamo un cattivo, un anti-storico che rappresentasse appunto una luna nera, la faccia scura delle immagini che solitamente passano, e quindi erano venuti fuori nomi spaventosi, rasputin e adesso non mi ricordo ma ne erano venuti fuori di terrificanti. in realtà abbiamo scelto franti perchè è italiano. se springsteen parla di my lay, del villaggio vietnamita massacrato, quella cosa è radicata nella coscienza di migliaia di giovani americani che hanno vissuto il dramma del vietnam. io penso che il "cuore" è assolutamente radicato nella nostra infanzia.

anch'io l'ho letto!

stefano - probabilmente pochi si ricordano di franti come persona, ma il libro sicuramente lo conoscono tutti. e poi franti è un personaggio che non esiste, è iul concentrato di tutta la cattiveria, di tutto quello che un bambino non deve essere.

un po' come il joey della canzone...

stefano - sì, questo ci stava bene perché riconoscevamo in questa figura l'aspetto del "voi mi rompete le palle e io vi rido in faccia", anche se non sono di quelli convinti che sarà una risata che vi seppellirà. per seppellire i nostri nemici ci vuole ben altro! però comunque è la qualità del riso, dell'ironia che gli italiani hanno e che ci distingue abbastanza dagli altri popoli. ma la cosa finisce qua.

sì, non ci sono molte sovrastrutture sul nome.

stefano - no, il fatto di usare i gagni per le copertine, non so se sarà ancora così, ne abbiamo discusso ma non abbiamo deciso niente.

pensavo ci fosse un fattore emotivo in quelle foto, che tocca qualche corda segreta...

stefano - sì, nel senso che il fatto del bambino ha il suo significato. se vuoi, negli ultimi film di ferreri c'è sempre un rimando a un bambino...

...a qualcosa che deve nascere.

stefano - ...la storia che ricomincia. un disco che secondo me è stato fondamentale per la storia della musica italiana era "maledetti" degli area, che aveva queste tre ipotesi avveniristiche: la memoria del mondo concentrata in un calcolatore che si guasta, e quella si perde e allora bisogna ricominciare tutto daccapo perché nessuno sa più niente. c'è il potere ai vecchi perché hanno il ricordo, il potere alle donne perché sono la parte dell'umanità che sinora ha taciuto e quindi può significare un nuovo mondo, e il potere ai bambini. una metafora scontatissima quella del bambino, non tanto come innocenza ma come possibilità future. questo ci differenzia, se vuoi, da un gruppo che mette una bara in copertina o dai joy division di "love will tear us apart" o "closer", freddezza, immobilità, morte, mancanza totale di prospettive mentre un bambino rimanda a qualcosa di possibile. in realtà è il discorso che stiamo cercando di fare noi, infatti non abbiamo nessuna pretesa artistica in senso stretto. penso che noi usiamo tante cose e ne facciamo nostre versioni, mescolando un po' le carte, senza fare nulla di troppo avveniristico perché non siamo frank zappa. il discorso che facciamo noi è di rappresentare una possibilità diversa per la comunicazione musicale.

cito dal vostro libretto: "l'ordine o lo si ride dal di dentro o lo si bestemmia dal di fuori".

stefano - quello è eco, l'elogio a franti, un capitolo dal "diario minimo" di suoi vecchi scritti. purtroppo non è stato citato il suo nome, speriamo che nessuno se ne accorga e che soprattutto lui non si incazzi. era tra l'altro un capitolo bellissimo perché prendeva per il culo de amicis dicendo che sostanzialmente non è cambiato nulla da allora a adesso, certi luoghi comuni su cosa sia la bontà... e quindi diceva "io faccio un elogio a franti" anche dal punto di vista del suo essere "analfabeta d'avanguardia" come dice lui, cioè di uno che non vuole imparare quello che gli altri gli vogliono insegnare, non soltanto perché non ne ha voglia ma perché coscientemente non gliene frega niente. quindi vede un mutilatino e gli ride in faccia. è chiaro che noi raccontando franti aggiungiamo uno spessore ideologico che franti non aveva. io non riderei di fronte a un mutilatino, però rido di fronte alla retorica che se ne fa perché la cosa che mi viene da pensare non è il dolore del mutilatino ma il dolore di una guerra.

non è il fatto di una pietà individuale...

stefano - sì, mi viene da ridere in faccia ai generali che dopo aver massacrato la gente mi chiedono di impietosirmi. e il fatto che un bambino ne rida significa che in qualche maniera ha un atteggiamento critico rispetto alle cose, e non come tutti gli altri ragazzi del libro "cuore" che si mettono a piangere come tanti cani di pavlov: "piangete" e tutti piangono, "ridete" e tutti ridono, "studiate" e tutti studiano.

com'è nata l'idea di iniziare l'lp con "gates of eden" di bob dylan? che poi dite che lui oggi non canterebbe mai questa canzone, una frecciata polemica qui?

stefano - beh, sì. ho amato tantissimo dylan ma l'ultimo disco suo che ho comprato credo fosse "new morning" (...), ormai quel dylan non lo conosce più nessuno. per la stragrande maggioranza della gente dylan è quel grasso ricco americano ebreo e redento che continua a dar soldi a israele, che comunque è uno che quando ha voglia di parlare ha più lucidità di altri per capire gli usa. quella canzone ci piaceva in particolare. poi siccome suono la chitarra ma abbastanza male, quando ho voglia di rimettermi a fare dei pezzi finisco per pacioccarli in maniera strana o per semplificarli o trasformarli, e "gates of eden" è diventata due accordi molto distorti. è chiaro che poi la cosa è stata spinta al massimo e abbiamo detto: facciamo una versione punk. infatti la recensione che giampi ci ha fatto su indie diceva che oggi con questa versione non si tratta più di rock ma di punk.

è stata scarnificata...

stefano - dal punto di vista musicale ma anche di contenuti, intanto perché prima ci abbiamo appiccicata questa cosa che parla di guerra, del libano, di craxi, del nicaragua, e ha completamente trasformato il pezzo. sai, "gates of eden" parla di guerra ma non solo perché i testi di dylan non sono mai molto chiari. parla anche di questo mondo fatato dove la gente crede di vivere e dove non succedono mai casini. in realtà il mondo è molto più complesso e le strofe finiscono con "non si sentono rumori"... giampi ha ragione, si tratta di rock rivisitato con una coscienza di musicisti di oggi. probabilmente dal vivo in futuro faremo un altro pezzo di dylan, "all along the watchtower" ma nella versione di jimi hendrix che ci piace molto, un bel testo, anche lì poco chiaro, perché ci piace farlo, non per motivi particolari. chiaramente bob dylan, quando si parla degli anni '60, ha rappresentato ancora di più dei gruppi che citavo. è lui quello che ha cambiato tutto. lui, elvis presley e i beatles secondo me hanno cambiato le carte in tavola. dylan è quello che ha preso la musica popolare country e l'ha fatta diventare poesia, un'espressione poetica di questo secolo, che non è una cosa da poco, non ha semplicemente cantato canzonette. ascolto soprattutto i suoi primi dischi, anzi il primo dove non fa quasi nessuna canzone sua ma canzoni country. ha una voce stupenda e canta canzoni bellissime. forse per fare una cosa ancora più completa avremo dovuto fare "masters of war" ma... non la sapevo suonare. al massaua abbiamo fatto anche "gloria", un pezzo passato in tutte le generazioni: l'hanno suonata tutti, van morrison ovviamente, i doors, jimi hendrix, patti smith. "gloria" (...) ha un sacco di rimandi. tra l'altro nessuno di noi sa veramente il testo perché ognuno ha cantato il suo, e noi metteremo insieme la versione di patti smith e dei doors che conosciamo.

perché avete cantato delle canzoni in inglese, vostre canzoni voglio dire? da parte di alcuni c'è una specie di etica del cantato in italiano, e poi tutte le altre vostre canzoni sono in italiano...

stefano - sì, "questa è l'ora" che è diventata uno dei pezzi più conosciuti e più impegnato era un pezzo che ho scritto io e che sembrava di nuovo tipo "only a new film", ed era in inglese e diceva tutt'altre cose. poi vanni, lui insiste più di tutti: non voglio fare canzoni in inglese. abbiamo provato a scrivere i testi in italiano e c'è stato sopra. però t'immagini un pezzo come "only a new film" o "preaching blues" a cantarlo in italiano? comunque il rock'n'roll è una musica creata per l'inglese perché sono nate insieme. nel prossimo disco ci saranno otto pezzi e in inglese ce n'è uno, una specie di blues spiritual e lì c'è sembrato addirittura giusto farlo in inglese. ah, poi "big black mothers", tipo "only a new film" ma più veloce, scritto in inglese. io sono nato negli usa e ci ho vissuto sino a otto anni, e qualcosa vuol dire perché nella psiche infantile ho avuto questa lingua. a me personalmente viene quasi più facile scrivere in inglese anche se non è che lo parli benissimo. ci sono poi certi giri di chitarra che dico:, cazzo, questo no, in italiano proprio on si può cantare! ma nel disco i pezzi in inglese saranno due, perché penso che sia giusto cantare in italiano, anche se caso mai dovessimo stampare un disco per l'europa non mi farebbe schifo cantare tutto in inglese. diamo per scontato una cosa: prima che moriremo parleremo tutti inglese o uno strano dialetto inglese. è già così in molte parti del mondo, ormai l'inglese è la lingua del mondo perché sono i padroni del mondo. come diceva wim wenders, hanno occupato il nostro subcosciente, anche il nostro modo di parlare, c'è poco da fare.

di che cosa si tratta in un'intervista se non del diritto e del piacere di parlare? le lingue del mondo sarà dunque l'ultimo paragrafo in questa lunga notte. anche le cicale tacciono, ormai vinte dal sonno. abbiamo vinto noi. ah, c'è una canzone in "luna nera" sulle lingue del mondo...

stefano - quello, se ti devo dire, è uno dei pezzi che secondo me sono più nostri, più interessanti e importanti. è un pezzo molto sperimentale, non è venuto come noi volevamo perché è molto più complesso di quanto sembra. era in realtà un pezzo di poesia sonora, nel senso che era una cosa che si poteva capire soltanto ascoltandola. se ti faccio leggere il testo -pubblicato sul retro della copertina- che abbiamo cercato di rendere attraverso le maiuscole e minuscole in effetti può essere reso solo dalle voci. quando l'abbiamo registrato, a casa del fratell0 di vanni (che è chitarrista degli inox) l'abbiamo fatto in un certo modo, poi lei ha proposto di fare la sua parte dicendola come se facesse l'annunciatrice tv, senza inflessioni. lì in effetti il problema era di parlare del significato della comunicazione, delle lingue, della parola, facendo degli esempi concreti col testo, quindi facendo una cosa dove il contenuto e la forma fosse un tutt'uno. quando dico una frase come "ma fino a quando", se te la dico così non significa niente, ma se la urlo significa tutt'altro, come uno che dice: "dio fa', non ne posso più, fino a quando durerà questa storia?".

è la fisicità della voce e del suono che appartiene alla parola.

stefano - sì, sì, come lei dice doveva risultare come se quasi un calcolatore parlasse, e i calcolatore non sarà mai in grado di dare queste sfumature qua perché funziona con un sistema binario logico e matematico che non ha niente a che fare con la nostra natura umana. solo che non siamo riusciti a renderlo. ogni tanto c'è gente che ci scrive e ci parla di questo pezzo e ne sono venute fuori di tutti i colori. tutti hanno capito che parla delle lingue, ma alcuni hanno pensato che parlasse dell'incomunicabilità fra la gente.

per me è piuttosto l'individualità di ciascun idioma.

stefano - sì, anzi io ho preso l'atlante garzanti e per ogni nazione del mondo c'era scritto la lingua che veniva parlata e le ho copiate pedestremente, per cui è venuta fuori una sfilza di lingue ed ognuna rimanda a una forma mentale, a diverse concezioni. e se stai a pensare come la civiltà del calcolatore sta distruggendo tutta questa differenza traducendo tutto in un piatto codice binario...

sono d'accordo. nel linguaggio non solo si manifesta la varietà dell'essere uomini ma vi è depositata tutta la storia delle differenze.

stefano - e poi la lingua è un patrimonio collettivo che non appartiene a nessun individuo, non c'è un copyright, un concetto di proprietà privata. e questo vale anche per il nostro linguaggio musicale: rifiutiamo l'idea di un possesso privilegiato di idee e parole. la nostra musica e ciò che facciamo sono di tutti, anche se abbiamo dovuto pagare la siae per non avere casini, se no non l'avremmo fatto. beh, questa libertà e questa varietà si sta perdendo e quel pezzo voleva significare appunto e far risaltare come il parlare degli uomini sia intraducibile e inalienabile. ad un certo punto nel pezzo si sente: state ascoltando "lasciateci sentire ora", lì bisognava renderlo come se io stessi dicendo: state ascoltando "gloria" di van morrison, invece non si capisce molto. "lasciateci sentire ora" è il titolo del pezzo, e questa voce lo annuncia proprio mentre lo stai ascoltando, quindi è un sistema che si innerva su se stesso. se dici "lasciateci sentire ora" così, non vuol dire nulla, ma se lo urlo ha tutto un altro significato, è come uno che vuol sentire finalmente quelle voci. era un pezzo che poteva essere ascoltato in mille modi diversi, ma che purtroppo non siamo riusciti a rendere come volevamo, perché non era facile. forse dovevano farlo due attori, ma l'idea mi sembra molto interessante e nonostante tutto una buona parte è venuta fuori. era un pezzo che si poteva far meglio, come "quesiti da sciogliere". dovessimo ristampare oggi [il disco] "quesiti da sciogliere" non la faremmo così. era un pezzo troppo difficile per noi, per le nostre capacità. tutto quel coro che c'è lì in mezzo, massimo, ugo e paolino, quello che canta peggio è massimo però è quello che fa le cose più interessanti perché aveva veramente in testa quello che volevamo fare, cioè improvvisare una voce alla robert wyatt, ma il risultato complessivo di quel coro è un po' strano, nonostante ugo abbia una voce bellissima (è dei joel orchestra).

in quanto tempo avete approntato il disco franti/contrazione?

stefano -  guarda, fra il più scalcinato gruppo punk e noi non c'è paragone perché noi non ci stiamo proprio a guardare. per noi il disco è come una fotografia, noi non siamo quello. e poi "luna nera" è un documento di quello che eravamo allora. pochissimo tempo. il pezzo in cui ci abbiamo messo di più è chiaramente "quesiti da sciogliere" perché è l'unico sovrainciso, massimo lì suona il basso con l'archetto e non poteva anche cantare!

questo disco che uscirà è una cosa a breve termine?

stefano - il disco verrà registrato in due sessioni diverse perché i pezzi sono abbastanza complicati e ci vuole molto tempo per provarli. penso che l'lp dovrebbe uscire a febbraio, e dentro ci sarà un libretto spesso così, e questo è già quasi pronto: è un anno che andiamo avanti a scrivere! l'unico pezzo che abbiamo già registrato in gennaio è perché è stato usato come colonna sonora di un video fatto da due nostri amici, un video che insieme ad altri andrà a finire dentro una cosa su torino. ci saremo anche io e lei e altri che recitiamo, ma non è un videoclip. gli altri brani li registreremo a metà ottobre e a dicembre. lo registreremo a chivasso nello studio dell'ex-organista degli arti&mestieri, dove già sono andati kina e contrazione, ma loro hanno fatto prima le basi musicali e poi ci hanno cantato sopra. noi invece non penso che faremo così.

forse non tutti sanno che i franti erano stati invitati a suonare al big, ma posero tali e tante clausole e condizioni (praticamente pari alla resa del locale nelle loro mani per l'intera serata) che non se ne fece niente. il rifiuto delle foto perché "non è l'individuo in posa, non è l'artista in mostra che conta".

 

3. il mucchio [intervista a cura di eddy cilìa dal mucchio n. 108, gennaio 1987]

è cosa certo singolare che in italia ci sia un gruppo che esiste da dieci anni, pubblica cassette e album da cinque e ha scritto alcune delle pagine più belle della musica nostrana di questo decennio senza che il grande pubblico (e si badi bene che non al pubblico delle duranette ci si riferisce, ma a quello che segue con attenzione il rock, comprando dischi e riviste) se ne sia accorto. i perché di questa situazione abnorme sono molteplici ma fondamentalmente possono essere tutti ricondotti a un unico motivo: i franti sono una formazione fuori dal comune, che non ha mai accettato compromessi e non si è mai piegata alle leggi di mercato. cosa ancora più straordinaria di questi tempi, i franti hanno qualcosa da dire, qualcosa che va molto al di là della musica, ottima, che propongono. i franti sono diversi dal resto della scena tricolore e si pongono al di fuori di essa
[stefano - non siamo musicisti, ma persone che fanno una battaglia politica con uno strumento diverso dal comizio, dal corteo o dalla bomba molotov...], non puntano alla fama, fanno concerti a prezzo politico (in cambio del solo rimborso spese) e reinvestono immediatamente i pochi soldi che ricavano dalla vendita dei dischi in nuove iniziative. i franti si muovono insomma sulla scia di una vecchia canzone degli area. quella che diceva "il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita". considerato tutto questo c'è forse da stupirsi non che il grande pubblico non li conosca, ma piuttosto del fatto che il loro nome bene o male circoli sempre di più e che il loro seguito di fedelissimi si stia gradualmente infoltendo.

franti: gruppo musicale di esseri umani che tentano, nell'agire e nel pensare, di creare cultura/autogestione, antagonista allo stato di cose attuali. per una società senza servi né padroni, perché dominare (dentro la tua casa, rapporto, gruppo etc.) è essere dominati dal proprio fallimento umano ed essere dominati è subire la propria distruzione [da un volantino].

franti è il nome di personaggio del libro "cuore". quello che rompe i vetri, fa uscire matto il maestro, ride quando il re d'italia muore. è un personaggio negativo, nel senso che nega l'ordine. per noi è una delle personificazioni di un modo di vivere e pensare antiautoritario. scegliere franti come nome era abbastanza logico per costruire un gruppo musicale: eravamo studenti e non ci piacevano (e non ci piacciono) gerarchie, autoritarismo, scuola, lavoro o famiglia. volevamo anche che questo gruppo fosse diverso.

1977. abbiamo creato questo gruppo nel '77, come progetto aperto di musicisti che volevano suonare insieme in differenti formazioni e diversi tipi di musica, cercando di autogestire noi stessi i concerti, gli strumenti, la riproduzione sonora, contro un modo di comunicare professionistico tenuto in mano dai ricchi e dai businessmen.

i membri fondatori sono stefano giaccone (sassofono, chitarra ritmica e voce) e massimo d'ambrosio (basso elettrico) ai quali presto si aggiungono marco ciari (batteria, in seguito anche con i blind alley e ora con i party kidz) e vanni picciuolo (chitarra ritmica e solista). intorno a questi quattro elementi ne ruotano molti altri. la musica proposta è per ora soltanto strumentale. sono già influenze dichiarate il blues (e in genere la musica di derivazione nera), il rock di canterbury (soft machine e robert wyatt in special modo) e certo jazz-rock sullo stile degli area e dei napoli centrale. il punk, che esploderà di lì a poco, avrà un notevole impatto sui nostri amici, sia musicalmente che ideologicamente. non esistono documenti sonori di questo periodo.

1982. è l'anno della svolta. il gruppo sembrerebbe destinato allo scioglimento e, un po' per gioco un po' per lasciare, al di là delle molte prove in cantina e dei pochi concerti, una testimonianza tangibile della sua esistenza, registra una cassetta, "a/b", di quattordici minuti. il nastro piace a molti e circola. dopo l'ingresso in formazione di lalli, che personalmente reputo una delle più belle voci del nuovo rock italiano (ammesso che in questo caso l'etichetta abbia un senso), i franti decidono di proseguire e di intensificare la loro attività.

1983. esce, rigorosamente autoprodotta e distribuita in proprio (come tutti i lavori del gruppo) "luna nera", una stupenda cassetta di trentaquattro minuti di durata. insieme ai componenti della formazione base, altri sei musicisti. le atmosfere sono mutevoli, con una certa prevalenza, soprattutto sulla seconda facciata, di suggestioni jazz. non manca però il rock, con due pezzi favolosi: "preachin' blues", una rilettura in chiave gun club di un brano di robert johnson, e "only a new film", una canzone sullo stile degli x di "los angeles".

1984. nasce la blu bus, etichetta gestita in prima persona dai franti e per la quale incidono diversi altri gruppi. il primo prodotto è un lp diviso in due parti: su un lato i franti, sull'altro i contrazione, una discreta hardcore band. memorabile la versione punkizzata che i franti offrono qui della dylaniana "gates of eden". splendida "voghera" (sax, batteria e voce). struggente e intensissima "quesiti da sciogliere".

1985. "luna nera" viene ristampata su vinile, con due brani in più. l'album viene posto in vendita, come del resto il disco con i contrazione, al politicissimo prezzo di seimila lire. in dicembre esce una cassetta di poesie intitolata "schizzi di sangue", il commento musicale è curato da stefano e vanni.

1986. "il giardino delle quindici pietre": reggae e punk, jazz e avanguardia, tuxedomoon e nino rota... uno dei migliori lp pubblicati in italia in questi ultimi anni.

in sala prove con i cinque membri fissi del gruppo [vanni - ci siamo sempre rifiutati di fare discorsi di stile. abbiamo sempre fatto quel che più ci piaceva fare, a costo di variare continuamente la formazione. è chiaro che poi questo discorso è difficile riproporlo dal vivo, soprattutto nelle condizioni in cui quasi sempre ci ritroviamo a suonare noi, abbastanza sfigate dal punto di vista tecnico. questa formazione si è stabilizzata in funzione dei concerti dal vivo]. c'è un clima rilassato, si scherza e ci si diverte e viene smentita l'immagine un po' seriosa che i franti sono soliti offrire. fa impressione sentirli suonare, mischiandole ai loro pezzi, canzoni di tim buckley ("song to the siren"), di waits (una "in the neighborhood" improvvisata sul momento), dei jefferson airplane ("white rabbit", fluida e acidissima).
riposti nelle custodie gli strumenti, comincia una chiacchierata che andrà avanti per ore, concludendosi a notte fonda con un lungo scambio di opinioni fra il sottoscritto e massimo d'ambrosio, tanto silenzioso durante l'intervista quanto ciarliero e disponibile in seguito. si parla di mille cose e quello che segue è un riassunto per forza di cose ridottissimo e incompleto. comunque interessante, mi augur
o.

la vostra avversione per le interviste è notoria tanto che in cinque anni, da quando cioè avete iniziato a produrre cassette e dischi, questa è la seconda volta che vi concedete alla "stampa ufficiale". quando ve l'ho chiesta e avete detto ok sono rimasto stupito. stanno forse cambiando le vostre strategie?

stefano - il progetto su cui stiamo lavorando ha bisogno del sostegno di un'area di persone che non non riuscivamo a raggiungere attraverso dei canali quali potevano essere le fanzine, i concerti o le manifestazioni politiche alle quali partecipiamo. è una questione anche di sopravvivenza. non penso che siamo un gruppo di quelli che si chiudono in una stanza e che urlano tutto il loro dolore per la società ma che poi non gli interessa di farsi sentire dalla gente. a noi interessa farci ascoltare, cercando di scendere al minor numero di compromessi possibile. concedere un'intervista come gruppo musicale, in quanto musicisti, è per noi un compromesso. sicuramente lo è per me, in quanto non mi reputo un musicista. ho accettato tutto questo perché negli ultimi anni le cose sono cambiate intorno a noi e di questa situazione nuova mi piacerebbe parlare.

massimo - abbiamo accettato di farci intervistare da una rivista specializzata perché mentre qualche anno fa era possibile usare altri canali, appoggiarsi a un movimento, oggi non ci sono più queste opportunità e parlare sempre alle stesse persone non avrebbe senso.

vanni - il problema è di amplificare le cose che stiamo facendo sperando che vadano avanti. sarebbe bello se iniziative simili alla nostra sorgessero un po' dappertutto. per noi sarebbe il massimo. il nostro obiettivo è di fare una critica all'industria culturale cercando di restare fuori dal mercato il più possibile. mi ha fatto piacere notare che in quest'ultimo periodo sembra che all'interno dei giornali ci siano persone sensibili a questo discorso e che non siano totalmente ...eccentriche, che ci credano. quando abbiamo iniziato con l'autoproduzione in italia era una cosa pochissimo diffusa. quando abbiamo scoperto che i punk facevano le stesse cose siamo stati felicissimi e abbiamo collaborato con loro. non basta più la musica, però. ci vorrebbe un movimento di massa attorno a noi.

i vostri dischi circolano attraverso i canali più disparati, ma fuori in buona parte del consueto circuito commerciale (distributori, negozi etc.). facciamo un esempio: come state diffondendo "il giardino delle quindici pietre"?

stefano - la prima tiratura, come tu sai, è stata di millecinquecento copie. di queste, duecento sono state acquistate da dieci gruppi a noi vicini come intenti e come scelte ideologiche. delle rimanenti copie il 30% è stato affidato a dei distributori indipendenti (un canale istituzionale, quindi) e il 70% al circuito cosiddetto "alternativo", a persone che non ci lucrano sopra. c'è un sacco di gente che non ha mai distribuito dischi, che magari abita in un paesino e si prende la briga di accollarsene dieci, quindici, venti e di venderseli. tutto questo secondo me è bellissimo.

non vi sembra però, agendo in questo modo, di ghettizzarvi da soli?

stefano - oddio, sai, il fatto di raggiungere un numero più grande di persone... uno può anche dire: va bene, io faccio un contratto come i redskins per una grossa etichetta che magari per molti versi mi fotte, ma io ho delle cose da dire, musicalmente e politicamente, talmente importanti che allora il gioco vale la candela. forse per noi non è così. noi non abbiamo tutta questa necessità di raggiungere dieci-quindicimila persone. mi farebbe piacere, però... io mi stupisco di avere i consensi che riusciamo ad avere, attraverso le lettere, attraverso quello che scrivono le riviste. e poi, oggi ci sono diecimila persone in italia interessate a una concezione della musica come elemento culturale antagonista allo stato capitalista? io credo di no. la nostra battaglia politica sta nel cercare di ampliare questo numero di persone. però dobbiamo farlo a modo nostro. io non riuscirei a dire certe cose su un palco se poi avessi un contratto nel cassetto con una casa discografica, con i miei dischi che costano quattordicimila lire e la gente che deve pagarne dieci per venirmi a vedere in una discoteca gestita dall'arci.

una delle cose che più apprezzo di voi è che fate delle canzoni che riescono a essere "politiche" senza mai scadere nello slogan.

vanni - c'è una frase di godard che dice: "è ora di smetterla di fare film che parlano di politica. è ora di fare film in modo politico". mi pare significativa. fare della musica è diverso dal fare un volantino o un comizio. una cosa è fare azioni militari o propaganda, altra è mettersi insieme e fare una canzone.

come è cambiata la canzone politica in italia in questi anni?

stefano - la canzone politica è cambiata con il clima sociale. pensa agli stormy six che sono passati da un disco come "un biglietto del tram", in cui si parla di stalingrado, degli scioperi alla breda e di enrico mattei e dei partigiani, a dischi come "al volo" e "macchina maccheronica" in cui, pur affrontando dei temi sociali, politici e filosofici, lo facevano in un modo mediato, poetico, ponendosi più dubbi che risposte, che è poi quello che facciamo anche noi. noi poniamo delle domande. neanche volendo potremmo scrivere canzoni che inneggiano agli operai della mirafiori o agli studenti dell'85. quelle cose lì le faceva finardi e componeva canzoni che duravano tre mesi, come quella che ha scritto sulla cambogia senza sapere cosa stava succedendo in realtà. e poi c'è da dire che in una situazione politica diversa da questa probabilmente non suoneremmo. non avremmo tempo per farlo.

quelli che non hanno mai sentito un vostro brano, ma vi conoscono di nome, in genere pensano che siate dei punk. vi dà fastidio?

stefano - no, non ci dispiace, anche se l'unico pezzo forse punk che abbiamo fatto, sia come testo che come musica, è "hollywood army".

esiste un nuovo rock italiano? e, se c'è, quale funzione ha?

stefano - c'è un sacco di gente che negli ultimi anni ha pensato unicamente a fare dischi e giornali. non è questo che ci interessa. a noi interessa che l'autogestione musicale sia uno dei tasselli di una più generale autogestione sociale e politica del proletariato. i musicisti dovrebbero farsi carico non solo di imparare quattro accordi ma anche della situazione sociale e politica in cui si trovano.

vanni - è positivo che ci siano più gruppi e più autoproduzione. il problema è che questa gente punta comunque a inserirsi nell'industria. a me non interessa affatto, personalmente, che esista un nuovo rock italiano e che si sviluppi.

lucidi rivoluzionari o romantici don chisciotte? un altro dei tanti "quesiti da sciogliere" proposti dai franti. in ogni caso, una formazione fra le più interessanti emerse in italia negli anni ottanta. fare la loro conoscenza è un'esperienza che consiglio a tutti.

 

4. urlo [intervista a cura di vittorio amodio da urlo n. 40, luglio 1993]

erano i primi anni ottanta e i franti si proponevano pubblicamente con la loro prima cassetta. come vi siete ritrovati insieme, e da quali esperienze musicali e politiche provenivate?

stefano - franti è la risultanza di un incrocio tra molte persone provenienti dall'area della sinistra rivoluzionaria (lotta continua e circoli giovanili) e dell'arcipelago anarchico più cultura hippie (o meglio yippie) più cesare pavese più doors più jefferson airplane più torino-fiat-partigiani più cantautori.

"luna nera", prima pubblicato su cassetta (era il 1983) e successivamente (due anni dopo) su vinile, rappresenta uno dei lavori da voi realizzati che meglio mostra la vostra straordinaria capacità di sintetizzare la sperimentazione sonora alla melodia. spesso vi si è paragonati a un gruppo più di altri, gli area. magari sarà banale, ma condividete questo accostamento, e quanto la musica italiana degli anni '70 ha inciso nel vostro modo di fare musica?

stefano - area, stormy six, napoli centrale, pfm, osanna, delirium, lolli, guccini etc.: la nostra adolescenza! ma quelli erano professionisti bravissimi. accostarci agli area ha un senso "relativo". i gruppi sono ottimi punti d'osservazione per capire l'epoca ed erano ottimi "tappeti volanti" per stare nell'occhio del ciclone, mentre i fatti ...suonavano. quel ciclone, il movimento dalla metà dei '60 alla fine dei '70, era molto più grande, totale, rivoluzionario. noi apparteniamo come persone a quella generazione, ma la nostra storia musicale "pubblica" si sviluppa negli anni '80. e qui franti, se mi si consente, è stata una delle voci più pure.

con l'album condiviso con i contrazione (punk band della prima ora) comincia l'esperienza della blu bus, per merito della quale ebbe inizio la vostra proficua collaborazione con i kina. avete detto più volte che l'idea era quella di unirsi al di là dei suoni, per condividere l'esperienza dell'autoproduzione/autogestione come strumenti per la comunicazione e le esperienze antagoniste. in realtà, penso che questo è stato anche il mezzo che vi ha portato di fatto al confronto con la scena punk italiana. a distanza di anni, come giudichi questo rapporto?

stefano - indispensabile. il vero detonatore. franti ha un po' giocato il ruolo del vecchio che porta il carbone, ma il punk era la vaporiera.

più volte avete scelto di interpretare canzoni non vostre, come "gates of eden" di dylan e "gloria" di van morrison. con quale spirito vi ritrovate a suonarle?

stefano - noi siamo compagni che leggono, ascoltano, vedono. quello che viene prodotto dall'intelligenza popolare (né accademica, né commerciale) è nostro patrimonio. usiamo tutto e citiamo chiaramente ...i padri!

dopo "il giardino delle quindici pietre" decideste di chiudere l'esperienza franti. è stato difficile, e avete mai avuto (anche recentemente) dei ripensamenti per quella scelta? in qualche modo il ristampare "non classificato" spinge a credere che siete molto affezionati all'esperienza franti.

stefano - franti è nel pieno della nostra strada, il nostro tao. non finisce. ci incontriamo ora su strade laterali ma forse un giorno saremo ancora insieme e avremo fatto tesoro degli affanni (...).

e poi, perché chiudere anche l'esperienza con i kina e la blu bus?

stefano - nulla è stato chiuso con loro. solo che in certi periodi loro viaggiano sulla kawasaki e noi ...sulla 500!

con la nascita della inisheer avete dato il via a una incredibile fase di grande attività: environs, howth castle, orsi lucille. quale desiderio spinge questa continua esigenza di esprimersi sotto varie sigle?

stefano - è vero, molti nomi, molta attività. forse come un giornale con delle rubriche? può darsi.

poi nascevano anche i panico, che era il ritorno di vanni che però musicalmente tagliava di netto i ponti con gli intenti sonori masticati dai franti, per concederti (mi rivolgo naturalmente a vanni) a soluzioni hard-punk, un po' quello che stefano ha fatto con la banda di tirofisso. vanni è sempre stata l'anima più "dura" dei franti?

vanni - la chitarra elettrica è uno strumento tradizionalmente dal suono duro, incazzato: l'anima, il colore più riconoscibile di certa musica. sarebbe piaciuta ai futuristi col loro macchinario industriale (rombatori, soffiatori...). i maestri zen dicono che è lo strumento che fa l'operaio. una chitarra elettrica ti usa, ti trascina e ti suona molto più di quanto tu suoni lei. di solito le chitarre sanno benissimo cosa e come suonare. io ho sempre cercato presuntuosamente di fuggire questa schiavitù suonando anche l'acustica oppure costringendo la mia elettrica (gibson stereo e tremenda!) a sottomettersi alle melodie, alle parole, alle mezze tinte. ma è dura: infatti da tre anni sto studiando il sax tenore.

insieme a lalli ultimamente siete stati artefici del progetto ishi con una bellissima cassetta d'esordio, che con "due" degli orsi lucille segna per certi versi un ritorno alle atmosfere dei franti. mi sembra significativo che lalli abbia ripreso a cantare "acqua di luna", "questa è l'ora", "le loro voci" come ben testimonia la cassetta live degli orsi lucille.

vanni - è stato il modo più naturale di rimettersi insieme, discutere, litigare nella nuova formazione. oltretutto ci sono canzoni che hanno girato poco (coi franti si sono fatti una quarantina di concerti) e che meritavano di essere rivisitate. e poi è il modo migliore per marcare una continuità, una strada che non è cambiata.

(rivolgendomi a lalli) che tu sia tra le migliori voci femminili in circolazione penso di averlo scritto più volte, e non sono il solo. il tuo modo di cantare sfugge il pressapochismo dello slogan "il messaggio è tutto". esprimerlo, come fai tu, presuppone che ti spinge molto più che il solo desiderio di salire su di un palco per cantare le tue idee...

lalli - non so, è difficile dire in poche parole. in una parte del libretto accluso al "giardino delle quindici pietre" c'era un minimo di tentativo di spiegare cosa sia per me la voce o cantare. c'è tutta la tua vita in quei soffi, il tuo dolore, le sigarette che fumi sapendo che non dovresti, la gioia, le mancanze, la memoria, la rabbia, la paura, il sentirsi soli e soli con qualcun'altro contemporaneamente. c'è anche la voglia forte di dire, ma non solo. c'è implicitamente la domanda di non essere lasciato solo mentre lo fai nella certezza di esserlo in quel preciso istante. e non c'è tecnica vocale che possa disegnare i confini del cantare, può servirti nel cercare di non perdere la voce, ad usarla in maniera più "produttiva", ad ammalarti e stancarti di meno, ma non basta. è testa e corpo assieme in un attimo di sintesi tra pensiero razionale, emotività, corpo, voce, e ributtare tutto fuori di sé cantando. ma c'è poi ancora un altro "discorso" importante, che è quello di quanta fatica e quanto lavoro silenzioso e oscuro (per gente come noi) comporti il salire sopra un palco, occupare uno spazio potente e conflittuale come quello e cercare di farlo con dignità, ragionare su sé stessi nei termini della spettacolarizzazione di sé e di che cosa ciò significhi. discorso che diventa anche qui inscindibile dalla tua vita. là sopra sei tu, nudo e vestito di tutto quanto c'è dietro e dentro, solo e insieme ai compagni con cui lo fai, e insieme alla gente che ti ascolta. per me non c'è mai molta distanza fra me sul palco e  me stessa intera, per quello che in questa società ancora possa significare questo aggettivo riferito alla propria persona, alla propria vita, o forse per meglio dire, fra me su quel palco e tutti gli altri pezzi di me. insomma, non so se un po' queste parole riescono a rispondere alla tua domanda, di certo sono una parte di quanto potrei dirti raccontandoti un po' della mia storia, di come sono arrivata a cantare cercando in questo sempre una continuità di me con me, in un periodo di passaggio tra la militanza politica e il privilegiare l'aspetto "culturale" della faccenda, in quegli anni riconosciuti ormai da tutti come gli anni di piombo, di quanto il punk mi abbia salvato la vita aprendo la possibilità di "fare musica" anche ad una persona come me che, sino ad allora, era stata solo una fruitrice, facendomi sentire parte di una comunità nella quale potevo trovare un piccolo posto restando la persona che ero diventata anche grazie a ciò che ero stata e avevo fatto. e mille altre cose ancora, ma che davvero non si possono tutte dire, è difficile, forse anche noioso e poco importante.

molto riuscita è la tua collaborazione con i ragazzi del teatro quotidiano. sei contenta del lavoro che hai fatto?

lalli - la collaborazione con i teatro quotidiano è stata innanzitutto la scusa per rendere visibili un grande affetto e una grande amicizia/stima che mi legano a quelle persone. e poi la gioia di trovare sul proprio cammino delle persone con età diverse ma con le quali si hanno grandi affinità sentimentali e politiche, di sogni. insomma, è stato come ritrovare vecchi amici, trovare fiato e cielo, sempre più rari e per questo più preziosi. poi, sul piano musicale, certo sono molto contenta di tutto il lavoro, il loro disco mi piace molto ma sempre è felicemente sorprendente scoprire che c'è ancora gente che ha voglia di suonare, ovviamente interpretandoli alla propria maniera, brani come "last mile" di nico, che per me è stata una di quelle persone che, soprattutto nel suo cammino successivo ai velvet underground e pur non avendo mai avuto la possibilità di conoscerla, mi hanno insegnato quella necessità di cercare un modo per stare sul palco con la dignità di cui parlavo prima. così la richiesta di cantare con loro anche quel brano mi ha davvero fatto tanto piacere. uno dei molti sogni: una cassetta, alla quale stiamo lavorando tenuto conto della lontananza, delle vite che facciamo e degli impegni dei reciproci gruppi di "appartenenza", di lavori composti, suonati e realizzati da claudia e da me.

come ishi immagino stiate lavorando al vostro primo disco...

lalli - ishi, una nuova spirale, un altro pezzo di cielo. stiamo appena cominciando a camminare. in un anno di concerti (il primo è stato il 21 marzo 1992 proprio al clinamen di rovereto) abbiamo verificato che c'era molta aspettativa nei nostri confronti e che c'è molto interesse per tutto quanto noi siamo, diciamo e cerchiamo di fare con questo gruppo. di realizzare un disco ne abbiamo già parlato, sia fra noi che con i nostri fratelli/compagni di anni e di strada kina (per una eventuale produzione blu bus) e mi sembra di poter dire, anche a nome degli altri componenti di ishi, che si potrà parlarne in termini più concreti non appena ci saranno i soldi necessari e quando ci sembreremo pronti a realizzare quella fotografia di un pezzo preciso della nostra strada quale è per noi fare un disco. il che spero sia molto presto. su ishi vorrei dirti tante cose, spiegare come, perché, le persone, i discorsi, i sogni, le mancanze, i casini, le contraddizioni, la nostra vita insomma. credo però che tutto si debba rimandare a più avanti, a quando per -spero- molta gente questo gruppo potrà anche essere uno strumento per dare voce a chi, come noi ma non solo, oggi non ha voce. un altro dei tanti sogni.

(torno a chiedere a stefano) ...mentre ora tu sei parte integrante dei kina. hai inciso con loro il nuovo disco. sei soddisfatto della tua collaborazione?

stefano - molto. nel mio percorso personale quello con i kina è un momento alto, musicalmente ed umanamente.

non pensi che i kina dovrebbero puntare un po' più sulla melodia, come del resto avete realizzato voi come howth castle?

stefano - cristo! ci sono i punks che dicono che ci siamo rammolliti! credo che l'ultimo lp sta più "preciso" melodicamente, senza perdere ...rumore!

ho letto delle tue considerazioni non molto positive su quello che è rimasto della scena dei collettivi punk degli anni ottanta. penso alla lega dei furiosi...

stefano - ho scritto quelle cose più di un anno fa. e quell'articolo si concludeva con una speranza. le cose si sono mosse da allora, e bene (lega dei furiosi compresa). per me è chiaro: dentro i centri sociali, nei collettivi, nei gruppi e nelle posse militanti cresce quel poco di realmente antagonista dentro uno scenario di nuova europa, armata, reazionaria e bianca.

attualmente cosa pensi dei centri sociali e della scena rap? gli assalti frontali hanno rimesso in discussione l'esigenza di gestire fino in fondo, non fornendo foto del gruppo alla stampa, la propria immagine. qual'è il vostro attuale pensiero su questo?

stefano - assalti frontali, ak47 e (pochi) altri sono nostri fratelli: si muovono dentro una "scena" vampirizzata da nuovi e vecchi businessmen. ma leggete il documento scritto dopo la famigerata "firma" di alcune posse per berlusconi, sony etc. idee chiare e di ...massimo rispetto.

negli anni settanta il grosso movimento politico giovanile era riuscito a conquistare spazi dell'informazione molto importanti. penso al miglior periodo del foglio di lotta continua, a gong e muzak ma soprattutto al circuito delle radio democratiche. in realtà poi la musica era gestita solo dalle multinazionali, tranne rare eccezioni. oggi invece godiamo di un panorama musicale vivace e vario ma mancano i mezzi di informazione capaci di "imporre" questa scena.

vanni - non credo che negli anni '70 la musica fosse solo business. questo era quello che appariva a livello ufficiale. non vedo questa carenza di riviste specializzate oggi, anzi rispetto al passato ne esistono di più, alcune con punti di vista interessanti. sicuramente manca un'esperienza assimilabile a lotta continua, dove centinaia di persone facevano i salti mortali per mandarlo avanti. lc aveva attorno un movimento di massa enorme nel quale "nuotava". oggi sembra fantascienza. le etichette indipendenti, l'autoproduzione, la lega dei furiosi, i centri sociali, le posse costituiscono una punta di grande consapevolezza nei metodi e negli obiettivi, ma sono una minoranza infinitesimale paragonati alla quantità (non qualità) del movimento degli anni '60, del '77 o dell'autunno caldo. un quotidiano nazionale autogestito vorrebbe dire: tutti i giorni, su tutto il territorio italiano, completamente autosufficiente, libero, autodeterminato. ma anche la forza per solo immaginarlo ...sembra mancare.

 


 

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