rockerilla
intervista di mirco salvadori, rockerilla n. 349 settembre-ottobre 2009

il tratto appenninico è il più devastante quando si deve partire da venezia per arrivare a firenze. tanto più impegnativo quanto più lo si percorre con una panda che vibra fuori tutto il suo odio per la strada in salita. era uso andare a firenze spesso negli anni '80, si faceva il carico di vinile e si incontravano personaggi che, magari a loro insaputa, avrebbero contribuito a creare la storia della musica indipendente italiana. quando poi a guidare la panda c'era marco pandin, gli incontri interessanti erano assicurati... il frastuono di quel motore è ancora vivo e presente? la panda continua il percorso o davanti a sé la strada è irrimediabilmente interrotta?

mi hanno così tanto preso in giro per quella mia vecchia macchina… d’altra parte era impossibile non stare al gioco. è vero, con gli anni il mio motore è stato messo a dura prova. tanti incidenti di percorso, salite ripide, curve e buche e interruzioni non segnalate, ingorghi sotto il sole e nella tempesta, gomme a terra, i tagliandi da fare… di recente mi si è acceso davanti un semaforo che è rimasto fisso stabile sul rosso. ma mi sono stancato di aspettare un verde che tanto non arriverà mai, così mi sono deciso a passare comunque, a disobbedire ancora: un’altra risata alla brutta faccia del destino. un vecchio signore incontrato una volta in un ospedale mi ha detto che essere capaci di ridere è un segno di buona fortuna.

scusami se insisto con la casa torinese ma la panda è sempre stato un esempio di auto essenziale, che non scendeva a compromessi. una macchina che ti portava dove volevi ma in tempi e con modalità per nulla comode. questo è ancora il tuo modo di viaggiare, o il tempo ti ha portato a prediligere più comfort e cilindrata?

sono andato a vivere altrove ma sono rimasto “veneziano” nel cuore: preferisco i mezzi pubblici e gli spostamenti a piedi. ogni volta che posso piuttosto dell’auto prendo la mia vecchia vespa, finché va avanti. mi piace fermarmi a guardare e ad ascoltare, mi piace prendere tempo. non ho mai avuto un mio “modo” di viaggiare, nel senso che non mi sono davvero mai organizzato né sono stato capace di impormi una disciplina o seguire degli insegnamenti. Ho avuto fortuna perché ho incontrato tante persone, perché ho tanti bravi compagni intorno, perché mi sono ritrovato in mezzo a tanti confronti e scambi che mi hanno arricchito. certo, c’è stato qualche brutto incontro, che ha comunque contribuito a portarmi qui e a essere come sono.

andiamo con ordine: nel corso del tuo lungo viaggio, diciamo all'inizio, pensi che non vale la pena a star lì a rovinarsi di droga e di alcool come tanta gente che ha vissuto l'epopea del '77, gli orfani del '68 per capirci, persone nate come me e te verso la metà o la fine degli anni cinquanta e che da sempre si sentono entità diverse, non appartenenti al passato e al tempo stesso dissociate rispetto ad un presente di difficile vivibilità. gli anni '80 picchiano duro e tu decidi, con altri due amici, di costruire un "garage rock"...

mi sono sentito tante volte a disagio come uno capitato nel posto sbagliato, dove c’era gente da trainare perché non aveva il coraggio della propria creatività. su un volantino dei crass c’era scritta una frase che qui dentro ha lasciato il segno: la creatività è la nostra arma più potente. Io non mi sono mai vergognato delle mie idee, forse per questo mi sono ritrovato spesso a essere un punto di riferimento. proprio io che non ho l’istinto del leader, che non credo nei gruppi organizzati... è vero, come dici tu droga ed alcool erano l’alternativa che ci veniva offerta all’omologazione, fosse questa in chiesa o nel partito o nelle gabbie sociali di famiglia scuola caserma e fabbrica. il casino fondamentale di chi come me aveva vent’anni negli anni settanta è stato prendere coscienza che i confini del mondo si stavano allargando troppo velocemente per le nostre abitudini: il quartiere, il giro di amici, i compagni di scuola, il tuo gruppo musicale, i libri e i giornali che leggevi, i cineforum e le manifestazioni, tutto diventava troppo stretto, inadeguato alle tue aspirazioni, un orizzonte soffocante. una velocità diversa di vivere e di ragionare a cui siamo stati costretti ad adeguarci. eravamo incazzati di disorientamento e frustrazione: disorientati perché ci siamo accorti improvvisamente che il futuro non significava obbligatoriamente metter su famiglia e andare a lavorare come ci era stato insegnato, frustrati perché non eravamo abituati a ficcare il naso fuori della nostra zona, questo perché il territorio significava ancora qualcosa di importante. e i soldi che non c’erano: si aveva fame di letture e di musica ma libri e dischi costavano e non era sempre possibile rubarli, quindi ci si arrangiava in branco con acquisti collettivi e cassette copiate. e non sapevamo cosa succedeva, dove trovare informazioni attendibili: allora c’era solo la radiotelevisione di stato, non sempre si riusciva a risparmiare abbastanza per acquistare dei giornali e quando ci si riusciva tante volte si rimaneva sconcertati e delusi perché anche quelli che si ritenevano indipendenti o in qualche modo ”vicini” offrivano la voce del padrone, nuovo o vecchio che fosse, o la verità degli inserzionisti. quei pochi che riuscivano ad andare da qualche parte quando poi ritornavano raccontavano cose che ci sembravano assurde, delle specie di fiabe moderne: le case occupate, i concerti gratuiti, il teatro in strada, l’erba, i cibi naturali, i vestiti a poco… a sentire queste storie la nostra disperazione, che già allo stato normale era in ebollizione, finiva sul punto di esplodere. la nostra esperienza diretta era misera: conoscevamo solo le strade dei nostri quartieri dormitorio, la speranza non si sapeva neanche cosa fosse perché era una parola che odorava di chiesa e in chiesa non ci si andava più, il “futuro” era una parola buia e troppo grossa che aveva i contorni sfumati come le chiazze di petrolio sull’acqua della laguna. insomma, l’unica prospettiva di fuga dalla normalità era andarsene via chissà dove oppure finire come l’erba morta attorno agli stabilimenti. l’idea di “fare” una fanzine mi è venuta al ritorno dal mio primo viaggio a londra, nel 1981: mi sembrava una risposta intelligente alle domande che mi si stavano accumulando dentro, o quantomeno un tentativo da fare, con una certa urgenza, per trovare altre strade, magari nuove, per crescere senza essere costretti ad ingoiare il grigiore. era questo un malessere condiviso con alcuni altri amici e compagni di strada: tutti suonavamo e scrivevamo e facevamo disegni, così è stato naturale raggrupparci attorno alle nostre seghe mentali, con la frustrazione, la povertà e l’incazzatura a fare da collante.

prima amcora però c'è stata l'esperienza radiofonica: ricordo ancora i miei pomeriggi aggrappato sulla frequenza di radio mestre 103 assieme a demetrio e ai suoi gorgheggi. credi esista ancora, passami il termine terribile, una "radio antagonista"?

quella della radio per me è stata un’esperienza formativa. ero molto giovane, primi anni delle superiori, credo che radio mestre 103 fosse addirittura uno dei primissimi tentativi di incrinare il monolite della comunicazione statale, il monopolio rai. avevo saputo di una tv via cavo sperimentale e di questa radio libera a scuola: a casa ho smanopolato fino a beccare la frequenza giusta e mi sono messo ad ascoltare. poi mi sono fatto coraggio e ho telefonato: dall’altra parte c’era un tipo gentile che mi ha invitato a partecipare ad una trasmissione, potevo portare i miei dischi se volevo. mi è stato subito offerto di condurre un programma “mio”, avrei potuto cominciare anche subito: pensa, un’opportunità enorme per un ragazzino. la redazione era formata in grande parte da gente anarchica della zona tra venezia padova e treviso, un ambiente di fratelli e sorelle maggiori che mi hanno sempre trattato con grande rispetto senza farmi mai pesare la differenza d’età e di esperienza. alla radio e tramite la radio ho potuto conoscere persone che condividevano alcuni dei miei stessi sogni, erano questi anarchici con cui mi trovavo bene a parlare perché mi stavano ad ascoltare e non mi volevano mai convincere né vendere qualcosa. insomma, è stato importante accorgermi di non essere solo. in radio mi sono state svelate musiche di cui non sospettavo neanche l’esistenza: tra i collaboratori c’erano dei girovaghi che periodicamente portavano dei nuovi dischi dai loro viaggi: grazie a loro ho ascoltato per la prima volta jan garbarek, john fahey, gli henry cow. eravamo alla metà degli anni settanta, avevo sedici-diciassette anni e quegli ascolti di allora hanno segnato i miei gusti e il mio orientamento: è stata una spinta a essere curioso, a non fermarmi alla superficie, a rispettare e non consumare la musica. col tempo però quell’idea di “fare” radio s’é andata trasformando sino a scomparire: le esigenze di stabilità e di sopravvivenza si sono scontrate in maniera sempre più violenta con quella programmazione precaria, con la spontaneità e l’improvvisazione. oggi ci sono radio private, non radio libere. penso che siano cose radicalmente differenti: una radio privata ha una direzione, una linea editoriale, un’organizzazione che determinano un orientamento preciso per ogni scelta, dalle notizie da dare o da tacere alle liste nere dei dischi da non far ascoltare. una radio libera invece era uno strumento sociale, un polo di aggregazione capace di catalizzare la tensione e i fermenti, un diffusore e amplificatore in grado di raccogliere idee e dare allo stesso tempo delle indicazioni strategiche per i ragionamenti. negli anni settanta le radio libere erano strutture nuove che si ponevano come alternative sempre più credibili all’informazione ufficiale. strutture flessibili e svincolate da modelli che, diffondendosi ed organizzandosi, costituivano un grosso problema sociale e politico per chi teneva in mano il potere: è ovvio che il sistema abbia reagito regolamentandole e costringendole alla chiusura o al riciclaggio in un qualche cosa di più facilmente identificabile e quindi controllabile. la rete oggi offre occasioni altrettanto buone per costruire una qualche aggregazione del dissenso, ma penso siano possibilità complessivamente meno pericolose perché basate su tecnologie a cui la gente comune ha ancora grosse difficoltà d’accesso (pensa ai problemi per avere un collegamento adsl in zone appena fuori dai grossi centri cittadini) e sulle quali non può esercitare alcun controllo. non mi ci vedo berlusconi cacciato a colpi di twitter, sono convinto avrebbe più impatto nella vita del paese uno sciopero di protesta con i televisori spenti per sei mesi.

torniamo a quel famoso viaggio: musica e politica erano il propellente che alimentava quel motore fabbricato verso la fine degli anni '70. dopo migliaia di chilometri percorsi senti ancora il bisogno di rifornirti al prossimo distributore o preferisci attendere il primo autobus di passaggio per farti trasportare?

riepilogando il taccuino dei rifornimenti, direi che sono andato avanti a rabbocchi di 5-10 euro: il pieno sono riuscito a permettermelo solo di rado… ho attraversato tempi in cui c’era una differente accessibilità alla musica, musica che è stata vissuta dapprima come fenomeno generazionale aggregante e poi in maniera individuale ed anonima, in due parole sono passato dall’esperienza diretta dei raduni e dei collettivi spontanei al download illegale. ci sono dei fili rossi che tracciano il mio percorso, musiche che amavo trent’anni fa e che ascolto tuttora, da robert wyatt a fabrizio de andré, dai crass a charlie haden per dirne qualcuno. altri, che so, frank zappa, franti, john zorn, leonard cohen, jon hassell, pat metheny, gang per i quali non so misurare il tempo che scorre, perché sono senza tempo. è per accumulo di esperienze e forse per un certo mio bisogno di conferme che continuo ad ascoltare le cose di ieri. eppure, per quello che posso, mi piace ascoltare oggi cose che vengono pensate e realizzate oggi. sì, ci sono bellissime storie di oggi che girano, da egle sommacal ai giardini di mirò a will oldham. e chissà che storie riserva il domani, sempre che arrivi. sì, perché il piano del tempo può essere sconvolto, pensa a mario brunello che suona adesso vivaldi rendendolo vivo e pulsante con un’aggressività che fa impallidire di spavento. la tecnologia abbordabile rende più facile l’accesso alla musica rispetto agli anni settanta ed ottanta, oggi si pone il problema della comprensione critica più che quello della scelta, dell’orientamento. non sono convinto che acquistare trenta cd al mese mi renderebbe migliore di adesso che riesco a permettermene solo un paio: al mio spirito fa bene ascoltare anche un paio di minuti di musica nuova fatta con sincerità, dedizione ed amore. mi fanno sorridere gli agitatori culturali di mestiere, che tutto già sanno e tutto hanno già sentito e che approfittano di qualsiasi palco per farneticare, a pancia piena, della creazione di nuove onde ideologiche e della scoperta di nuove e lontanissime frontiere. il difficile è invece osservare e comprendere le cose che abbiamo a portata di mano: sono queste che possono influenzare i cambiamenti nella nostra vita.

cosa ti ha fatto salire così in alto da riuscire a carpire una "stella nera" al cielo e trasformarla in fonte artistica di estrema purezza musicale? Suoni lucidi, privi di compromessi, scelte editoriali difficili da riscontrare in altre etichette indipendenti...

non è servito andare “in alto” né andare lontano, anzi. direi che non sono andato da nessuna parte. faccio fatica ad accostare stella*nera ad altre etichette discografiche indipendenti, innanzitutto perché non è un’etichetta discografica indipendente: è un ragionamento personale iniziato anni fa e portato avanti con calma, con lentezza, come ne sono stato capace. l’esperienza di rockgarage per me è stata terribilmente istruttiva: stavamo trasformando un progetto collettivo senza padrone né scadenze in una piccola attività editoriale, e ci siamo messi in mano ad un distributore commerciale. significa che tutti i risparmi accumulati tenendo in vita rockgarage col volontariato sono andati persi in fretta in un gorgo di bugie, fatture non pagate, dischi in nero scomparsi, assegni scoperti e minacce di ritorsioni legali. io volevo davvero mollare tutto, ne ho discusso con dei miei compagni inglesi che mi hanno invece convinto a tenere duro e aiutato: nel 1984 ho pubblicato un libro di traduzioni dei crass facendo praticamente tutto da solo. il problema poi è stato farsi pagare dai distributori sedicenti “alternativi” e farsi consegnare il materiale offerto in scambio dai vari gruppi punk: la mia esperienza diretta è che i più politicizzati e visibili sono stati i più ladri e bugiardi. io volevo andare avanti, ma come continuare? da qualche tempo collaboravo con rockerilla: su queste pagine nella prima metà degli anni ottanta ho segnalato numerosi dischi di gruppi e musicisti anarchici, attirando l’attenzione della redazione di a/rivista anarchica che mi ha offerto amicizia e spazio. è stato così che nel 1986 ho curato e pubblicato “f/ear this!”, un album doppio pensato proprio come un’iniziativa a sostegno di a, ricco di contributi sonori internazionali (nurse with wound, embryo, limpe fuchs, detonazione, doctor nerve, franti, possession ed altri) con l’aiuto di vittore baroni che si è occupato della parte grafica. l’album, invece che finire in vendita nei negozi, anche quelli indipendenti e alternativi, è girato essenzialmente per corrispondenza in cambio di una sottoscrizione. l’idea di stella*nera è una prosecuzione naturale di questa esperienza, finalmente svincolata da logiche di prezzo e dalla distribuzione commerciale: sembra un paradosso ma ho cominciato a “vendere” dischi proprio decidendo di non metterli in vendita. alcuni titoli pubblicati sono stati stampati in poche centinaia di copie, altri sono stati ristampati più volte, ne sono state diffuse diverse migliaia. negli anni novanta ho curato e pubblicato tre volumi della raccolta “les mystéres des voix vulgaires”, sempre a sostegno di a, raccogliendo contributi scritti, sonori e grafici in giro per il mondo: da linton kwesi johnson a jello biafra, dai kalahari surfers agli etron fou leloublan, da lady june a lawrence ferlinghetti, un sacco di gente. ancora, la a/rivista ha ricevuto un grosso sostegno grazie a due uscite recenti di stella*nera, i “mille” e i “duemila papaveri rossi”, due raccolte di canzoni di fabrizio de andré interpretate da musicisti e gruppi estranei ai giri discografici industriali. penso sia importante sottolineare che nessuno dei partecipanti ha preteso un soldo: a tutti è bastata qualche copia omaggio, molti hanno acquistato dischi e cd per diffonderli ai loro concerti e spargere la voce. ho anche pubblicato i cd dei franti, cercando di rispettare tutto di loro, quello che erano, quello che immaginavano, quello che desideravano: i nostri rapporti interpersonali sono ancora fraterni, penso sia la cosa migliore che avrei potuto chiedere e la testimonianza più concreta di come funzionano i “meccanismi” di stella*nera. tutti i progetti che ho curato e pubblicato sono stati realizzati con la più completa disponibilità e collaborazione dei musicisti, che sono stati sempre informati della destinazione dei soldi raccolti: tolte le sole spese vive di realizzazione, va tutto a sostegno di a. ho riservato per me un ruolo di attivista, non di operatore culturale o di intermediario. con questi presupposti, va da sé che le scelte non sono musicali quanto di campo, ecco perché nel catalogo di stella*nera coesistono detriti ed eugene chadbourne, i crass e roberto dani, perché a un certo punto non è un problema di stile o di generi musicali, di progetti nuovi o ristampe di roba vecchia che non si trova più, ma di mettere in pratica un certo tipo di mentalità, di passare dai ragionamenti ai fatti. ecco perché stella*nera non è un’etichetta come le altre: io non ho dischi da vendere, ho piuttosto delle idee in cui credo e che sono pronto a discutere, e ho delle storie da raccontare e condividere.

continuiamo il nostro folle percorso virtuale avanti e indietro nel tempo aprendo il file "scrittura": parecchie collaborazioni, prima fra tutte a/rivista anarchica, ma anche libri... 

è stata una storia cominciata per caso, che doveva essere una cosa e s’è via via trasformata in tutt’altro. c’era la trascrizione di una lunghissima conversazione fatta tra degli anarchici romagnoli e stefano giaccone dei franti: i discorsi dentro si riteneva fossero sufficientemente interessanti da essere diffusi, così mi è stato chiesto di scriverne un’introduzione. per mille motivi la cosa si è poi arenata, il progetto però secondo me era valido e, d’accordo con stefano, l’ho preso in mano per modificarlo e trasformarlo in quell’ammasso di ritagli che è diventato “nel cuore della bestia” (ed. zero in condotta, 1996). il libro è stato davvero ben accolto ed è andato esaurito in poco tempo, non è più stato ristampato ma si può leggere sulle pagine web di stella*nera.

da qualche parte nel tuo cuore c'è scritto: "do it yourself, create anarchy". è una frase che pulsa lenta e costante, è ideale che brucia di purezza. marco, in quale tuo futuro ti accompagnerà questa frase?

non ho certo alcuna pretesa di insegnare l’anarchia, perché io non l’ho imparata: sono uno che è cresciuto ascoltando musica per strada, ho letto qualche libro “giusto” ma il mio background letterario politico sono stati i testi delle canzoni, i volantini, le scritte sui muri. ha ragione bruce springsteen quando dice che si impara di più da una canzone di tre minuti che sui banchi di scuola... la mia era una famiglia operaia, sono cresciuto in un quartiere disagiato della periferia che si trasformava velocemente da campagna a zona industriale: essere costantemente a corto di soldi mi ha permesso di allenare la fantasia. non ho davvero idea di cosa arriverà domani: tanti anni fa franti cantava “il mio futuro è già finito” ed io l’ho visto finire spesso. solo che poi ricominciava, sempre diverso e sempre uguale.

e in quale futuro tu accompagnerai noi?

dicevo all’inizio che sono rimasto fermo per un bel po’ davanti a un semaforo rosso: le condizioni di salute di mia figlia si sono sempre più aggravate, fino a renderle impossibile la vita. non so descrivere il senso di perdita, la mia tristezza, il mio disorientamento di questi mesi. ancora una volta sono corsi in mio aiuto tanti cari amici e compagni, come pure tanta gente che non conosco di persona, che è venuta a sapere di questa mia situazione e si è sentita di esprimermi solidarietà e vicinanza. tutto questo mi ha molto impressionato: mi sono reso conto che non posso abbandonare tutto perché significherebbe abbandonare tutti. non sono ancora riuscito a tornare a un livello accettabile di concentrazione e di energia, ho deciso di sospendere i nuovi progetti per portare a termine quelli già iniziati o quasi completati. attualmente mi sto occupando del libretto e della confezione del cd che alessandro monti ha realizzato con kevin hewick “the venetian book of the dead” e che uscirà a breve, un’opera contorta, oscura e assai sofferta ispirata alla vicenda delle vittime del petrolchimico di marghera. le musiche dell’album sono state realizzate coinvolgendo alcuni musicisti dell’area veneziana come bebo baldan, gigi masin ed alex masi: con loro ed alessandro siamo legati da un rapporto di amicizia profonda, ci conosciamo da tanti anni e questa è un’ulteriore testimonianza del tipo di persone con cui io posso “lavorare”. un altro cd che sto per pubblicare contiene le registrazioni dal vivo dei crass fatte da me al concerto di nottingham il 2 maggio 1984, una serata a sostegno di peace news. sono state restaurate molto bene da paul harding e poi masterizzate da marco giaccaria, sto rifinendo in queste settimane le traduzioni dei testi e rivedendo le note storiche e critiche che ho scritto. la prima edizione conterrà un bonus cd con le registrazioni delle altre performance di quella sera: annie anxiety, d&v, flux of pink indians. ci sono poi alcune cose rimaste “ferme”: kina, joel orchestra, orsi lucille, la ristampa in cd di “f/ear this!”. in questi ultimi anni non ho davvero avuto testa a sufficienza per seguire tutto. ho solo bisogno di tempo e di calma per ricominciare a fare …del mio peggio!

 

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