stefano giaccone

stefano è conosciuto, più che per la sua produzione da solista (una dozzina tra singoli, dischi e cd) per aver fatto parte dell’open group franti, attivo negli anni ottanta e recalcitrante alle definizioni di stile come alle influenze, riconosciuto come l’espressione più libera ed originale del rock indipendente italiano di allora. a un certo punto franti è scomparso, ma è rimasto vivo in altre formazioni, incroci e collaborazioni che perdurano tutt'oggi. stefano, che di franti era una delle teste oltre che voce e sassofonista, dopo una collaborazione con gli anarcopunks aostani kina, ha continuato a percorrere una strada musicale tutta sua, tracciata in grande parte nei territori della canzone d'autore e con una voglia addosso di sperimentare che s'è spesso trasformata in necessità espressiva primaria.
   

a volte, stefano s'è fermato sul ciglio della strada a raccontare le sue storie personali di ieri e, volentieri, a mettere addosso la sua voce e le sue mani a canzoni scritte da altri. per quel che conosco, non me la sento di dire che stefano si trova a suo agio davanti a un microfono e con una chitarra in mano: direi piuttosto che questa situazione spinge a tavoletta il pedale dell'acceleratore delle sue nevrosi e serve a far prendere alle sue parole una certa temperatura. quel che viene fuori dalle sue canzoni è un continuo girovagare agitato tra i versi, un intermittente sentirsi mal sintonizzato con tutto il mondo intorno, un sentirsi "spostati" e a disagio tra occasioni sprecate e cose che non s'è trovato modo di dire, o che si è arrivati a dire troppo tardi, o troppo male, con le parole sbagliate. molte canzoni di stefano danno fastidio perchè incapaci a offrire poesia tradizionale, o un sogno di speranza, o un qualchecosa di sentimentalmente commestibile. i suoi versi sono immagini reali in cui specchiarsi, e rimandano indietro un quadro complessivo di indecisione e precarietà, di sbagli e meschinità perchè parlano di cose che succedono e che era meglio non fossero successe. altre sono dialoghi con gli spettri, da victor jara a carlo giuliani all'amico ritrovato all'innamorata forse mai stata tale. altre sono sogni ad occhi aperti, sogni non realizzati né realizzabili che fanno riassaporare il gusto amaro della sconfitta, della frustrazione, della lontananza.

   

questa sua essenziale fragilità, perchè di questo alla fine si tratta, a volte si veste di aggressività, e allora ecco che stefano pesta la grancassa e fa la voce grossa, ecco che stefano scrive usando la penna come una lama tagliente come se avesse sulle spalle tutto il peso del mondo, ecco che stefano s'incazza e ti manda affanculo e ti volta le spalle e se ne va via per poi richiamarti due giorni dopo, la voce mista di sorrisi e nebbiolo e amicizia vecchia (quell'amicizia che profuma di casa, che non si scioglie neanche con la grande distanza geografica, o con una diversa opinione, o con un prestito mai restituito). è per tutto questo che gli voglio bene: per il suo modo così incasinato di essermi assieme amico/compagno e controparte, per il suo giocherellare con i sentimenti così distante dalla mia pratica eppure così ossessivamente familiare come il susseguirsi delle stagioni, per il come sa mettere in fila le parole una dietro l'altra in una collana dentro una poesia o un testo qualsiasi facendogli prendere fuoco (ed è questa la qualità che più gli invidio).


 

   
  il giardino dell'ossigeno

stefano giaccone va e viene, spirito inquieto e problematico in quest’ultima dozzina d’anni in viaggio altalenante perenne tra torino e il galles. e non è solo il casino personale sempre arruffato e abbottonato storto nelle piogge battenti della vita o un’indecisione geografica, la sua, che lasciano il segno, un segno profondo sulle cose che scrive e che canta. è un sentirsi con le radici ficcate nel posto sbagliato “come se il mio copione fosse tutto da rifare” -come a poche frasi dall’inizio della prima canzone canta lui proprio qui dentro- oppure no, è un sentirsi fondamentalmente a posto quando il mondo tutt’attorno ha qualcosa di strano che non va. qualche mese di fuga forse, o una pausa dagli affetti, o un’avventura corsara in sardegna andata com’è andata e finita quando doveva finire ed ecco che è nata una manciata di canzoni. stefano lo conoscete: raccoglie parole come pietre e mette insieme mosaici, e in questo suo mosaico di inizio 2010 mischia pensieri affilati e pozzi di stanchezza, ragionamenti lucidi e sogni deliranti e psichedelici, amori persi e sperduti, inservibili come un ombrello rotto ed altri così belli da schiacciare il respiro e accendere l’invidia, flash da viaggi veri e da altri solo immaginati ma dategli tempo e fortuna che verranno, tracce di rabbia a grana grossa anche, ma soprattutto voglia di sfidare il tempo e la sorte e la folla, e rimettersi in gioco. è il tempo di fissare in forma di strofa e suono ricordi e cose di ieri e forse e soprattutto di raccontare lo stupore di fronte all’allontanamento di ieri da oggi, due rive sempre più lontane sì, ma assolutamente nessun rimorso, ché qua davanti c’è un domani nuovo tutto da aggredire. una ventina di pezzi registrati in maniera economica, cito dalle note tecniche: “con due programmi craccati sul pc, senza microfoni né niente”, in questi ultimi tempi sui giornali di settore si dice una raccolta lo-fi, vent’anni fa si sarebbe chiamato un demo casalingo. di questi, stefano ne ha scelti dodici a comporre il cd “il giardino dell’ossigeno”, con dentro anni tormentati, vissuti e guardati penzolare come fossero pesci d’argento e azzurro presi all’amo, e un assaggio della vita che verrà, bellissima e stupefacente. ci trovate dentro lo stefano giaccone cantante di strada e giocoliere, un po’ illusionista e un po’ fanfarone, quello che racconta con distacco gli incontri di ieri mentre ne porta le schegge ancora calde conficcate in fondo al cuore, quello che lavora di fino con la fantasia e riesce a trasformare l’immaginazione in ricordi quasi veri da condividere, quello che a starlo a sentire -complice il vino, magari, e sotto l’assalto serrato della tristezza- convince che la sua vita sembra adatta per ricalcarci un film, o un libro, o tutt’e due. non sono tutte canzoni originali: qui dentro tra gli altri stavolta tocca al cubano silvio rodrigues e all’americano eddie vedder essere rivisti, perché da sempre stefano offre anche riletture personali di cose scritte da altri cercandoci dentro il buco giusto per far passare il suo lunghissimo filo rosso, filo rosso che tiene saldamente in mano da quando i franti erano i franti.
   

     

   

 


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