Quello che so su Errico Malatesta

Il movimento anarchico è sicuramente una delle correnti di pensiero moderno più fraintese e più sapientemente occultate dalla cultura ufficiale, che ha da sempre spesso associato l'anarchismo al caos, ad azioni vandaliche, all'uso della violenza in generale. Alla comprensione del movimento anarchico non aiuta poi il fatto che al suo interno vi siano state da sempre e vi siano tuttora posizioni tra loro spesso contrastanti, che hanno certo contribuito a dare dell'anarchia un'idea distorta. Tali aspetti hanno invece ben poco a che fare con la sua vera anima originaria, sviluppatasi alla fine dell'800 tramite il lavoro dei suoi maggiori teorici: Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Malatesta, i quali individuano nel senso di partecipazione comune al bene collettivo, nel reciproco appoggio, nella solidarietà, nella non-violenza e nel progresso culturale, visto come prioritario rispetto allo stesso progresso economico, le basi del loro pensiero. Malatesta, rispetto ai maggiori teorici dell'anarchismo, è tra questi sicuramente il meno conosciuto; ed è questo uno degli aspetti che mi hanno spinto ad affrontare le sue idee. Il suo pensiero è inoltre, più di altri, intimamente connesso con una idea di sviluppo, in questo caso sociale, basata sull'utilizzo del dubbio come metodo di indagine e di progresso. Nel suo pensiero ogni valore raggiunto viene visto come un ulteriore punto dal quale ripartire. I valori raggiunti non vanno considerati come assoluti ma come costantemente migliorabili attraverso la libera sperimentazione e devono venire sempre considerati pronti ad ogni eventuale ulteriore cambiamento. Tutto ciò mi ha fatto pensare a come, in definitiva, il pensiero di Malatesta sia in effetti l'spressione di un tipico processo creativo, in questo caso applicato su larga scala alla società. Per quanto riguarda il fatto che Malatesta non sia così conosciuto come altri suoi colleghi ha sicuramente influito il suo stile di vita, il fatto che non tenne mai un diario, che fu sempre molto attivo spostandosi continuamente da un paese all'altro, che non scrisse mai un vero e proprio libro, ma centinaia di articoli apparsi su riviste anarchiche dell'epoca, e che mai si preoccupò di raccoglierli in una unica antologia. Sicuramente il suo nomadismo ha reso complesso il lavoro di ricerca e di ricostruzione degli avvenimenti che gli storici hanno dovuto nel suo caso affrontare. Per questo mio scritto mi sono essenzialmente basato sui testi a lui dedicati da Luigi Fabbri (1), Max Nettlau (2), Giampietro Berti (3) e Misato Toda (4), ad alcuni brevi testi presi da Internet, primi fra tutti la relazione di Andrew Blackmore su Malatesta presentata nel 1994 al "Workers Solidarity Movement meeting" a Dublino oltre, ovviamente, agli scritti di Malatesta stesso raccolti in varie antologie (5).
L'importanza e la forza della figura di Malatesta, più che per una sua particolare azione politica, per particolari capacità organizzative, per uno specifico testo o articolo decisivo per le sorti dell'anarchismo, è data dal fatto di aver combinato in sé tutti questi fattori. Malgrado i tanti scritti, la sua priorità non fu teorica ma fondamentalmente rivoluzionaria; la scrittura e la teorizzazione furono per lui un mezzo essenzialmente finalizzato alle esigenze di propaganda. Il suo approccio alla scrittura fu dunque non accademico ma strettamente connesso alla divulgazione delle idee e dei princìpi libertari tramite uno stile di scrittura semplice e diretto, che potesse essere compreso da tutti, malgrado il soggetto fosse tanto complesso come l'organizzazione di un nuovo tipo di società: "La società anarchica è la società organizzata senza autorità, intendendo per autorità il potere che viene imposto dal volere del singolo. Noi siamo anarchici, anarchici nel senso proprio e generale della parola: vale a dire che vogliamo distruggere quell'ordinamento sociale in cui gli uomini, in lotta tra di loro, si sfruttano e si opprimono, o tendono a sfruttarsi e ad opprimersi, l'un l'altro, per arrivare alla costituzione di una nuova società in cui ciascuno, nella solidarietà e nell'amore con tutti gli altri uomini, trovi completa libertà, massima soddisfazione possibile dei propri bisogni e dei propri desideri, massimo sviluppo possibile delle sue facoltà intellettuali ed affettive" (6).


Anarchismo e anarchia

Sotto molti aspetti Malatesta funge da sintetizzatore del pensiero anarchico, sforzandosi di portare il pensiero libertario da teoria ad azione pratica. È questo il tentativo principale di tutta l'opera e di tutto l'operato di Malatesta: cercare di trasformare l'anarchia da un puro e astratto "valore assoluto" portandola a diretto contatto con le necessità pratiche, con la realtà delle cose, con le esigenze dell'attuale.
Tutti i maggiori pensatori precedenti, come Godwin, Proudhon, Bakunin, o a lui contemporanei, come Kropotkin o Merlino, danno dell'anarchia una spiegazione e una giustificazione oggettiva. Ovvero, l'anarchia si realizzerà perché la ragione (Godwin) o la naturale evoluzione dell'uomo (Kropotkin) tendono inevitabilmente verso una società di tipo anarchico, una società cioè basata sul mutuo appoggio spontaneo tra i vari individui, senza il bisogno di un qualsiasi potere superiore che imponga le regole di convivenza. Anche il filosofo italiano Benedetto Croce, pur lontano dall'essere stato un anarchico, si espresse a questo proposito con concetti molto simili a quelli di Kropotkin: la società è nata anarchica (intesa come caos generato dalla mancanza di regole) e tramite vari sviluppi ed esperimenti di modelli di società differenti (monarchia, democrazia, dittatura,...) è destinata ad approdare in futuro ad una anarchia "matura", intesa questa volta come pratica della libertà per mezzo del rispetto del prossimo.
Malatesta si oppone a questo fatalismo affermando che la volontà, e solo quella, potrà decidere il nascere di una società anarchica. Per Malatesta non è importante riuscire a giustificare la validità e la necessità dell'anarchia: essa non ha bisogno di nessuna giustificazione scientifica data a priori. L'anarchia non va subordinata e non è legata a nessun sistema o teoria scientifica e filosofica, ma è semplicemente "un modo di vita individuale e sociale da realizzare per il maggior bene di tutti". Il programma anarchico è composto da obiettivi da raggiungere e di vie e mezzi per raggiungerli, non è una teoria scientifica né un sistema filosofico. Anche perché una giustificazione di tipo scientifico risulterebbe in ogni caso inutile, in quanto la scienza non può per sua stessa natura decidere tra il bene e il male ma registra, analizza e studia i fatti, semplicemente, senza poter e senza dover dare nessun giudizio critico ed etico.
Ed è ovvio come Malatesta si opponga con fermezza a questa posizione anche per ragioni che potremmo definire strategiche: assolutamente prioritario è sempre stato per lui l'aspetto pratico e concreto del processo anarchico. E quindi l'affermare che l'anarchia si realizzerà in ogni caso, in un futuro magari lontano, perché frutto inevitabile dell'evoluzione naturale delle cose, porterebbe ad un conseguente indebolimento della volontà nella realizzazione dell'anarchia stessa. E proprio la volontà umana è messa da Malatesta al centro di tutto il processo anarchico. Per Malatesta l'anarchia è un valore che trascende ogni analisi razionale e come tale va conquistato e in ogni momento riconfermato attraverso la pratica e la sperimentazione. Non serve giustificare a priori un dato sistema di convivenza sociale; l'unica cosa che va fatta è sperimentarne la sua validità ed individuarne i limiti e i possibili miglioramenti. In questa prospettiva anche i valori dell'anarchismo non hanno bisogno di essere spiegati o giustificati a priori, e la loro eventuale superiorità rispetto ad altri modelli va dimostrata solo attraverso l'attuazione pratica dei suoi princìpi. "L'anarchia è un'aspirazione umana, che non si fonda sopra nessuna vera o presunta necessità naturale, che potrà realizzarsi o non realizzarsi secondo la volontà umana" (7).
E qui subentra uno dei concetti fondamentali elaborati da Malatesta, ovvero quello della distinzione tra anarchismo e anarchia. Malatesta divide l'anarchia, intesa come fine, dall'anarchismo, inteso come mezzo, come processo. L'anarchismo costituisce l'insieme teorico-pratico e va deciso, adattato, analizzato e pianificato in base alla situazione storica, al suo contesto. E il contesto, il presente, è in continua mutazione. Ne deriva l'impossibilità di pianificare con largo anticipo il processo, l'azione, che porta o che tende all'anarchia. I metodi dell'azione vanno resi flessibili alle esigenze del momento, il processo va pianificato in base al contesto. L'ideale anarchico è invece, all'opposto, universale, perché portavoce di valori e di aspirazioni universali quali la libertà, la fratellanza, la pace, l'uguaglianza. Le motivazioni che lo giustificano non sono dovute ad una deduzione scientifica ma rispondono ad una profonda aspirazione dell'uomo. I suoi scopi sono universali, sono valori che non possono essere legati ad un particolare momento storico.
La divisione tra anarchismo e anarchia è in sostanza la divisione tra scienza e etica. L'anarchia è per Malatesta un'aspirazione umana, ed è quindi riconducibile ad un sentimento, ad una spinta emotiva: "Per spirito anarchico intendo quel sentimento largamente umano che aspira al bene di tutti, alla libertà ed alla giustizia per tutti, alla solidarietà ed all'amore fra tutti" (8). Ed ancora: l'anarchia deriva da "un sentimento, che è la molla motrice di tutti i sinceri riformatori sociali, e senza del quale il nostro anarchismo sarebbe una menzogna o un non senso. Questo sentimento è l'amore degli uomini, è il fatto di soffrire delle sofferenze altrui" (9).
Tramite la divisione tra anarchismo e anarchia Malatesta cerca di dare al primo la sua massima valenza realistica, e alla seconda la sua più alta espressione etica. "L'anarchia è l'ideale che potrebbe anche non realizzarsi mai, così come non si raggiunge mai la linea nell'orizzonte che si allontana di tanto in quanto uno avanza verso di esso. Invece l'anarchismo è metodo di vita e di lotta e deve essere, dagli anarchici, praticato oggi e sempre, nei limiti delle possibilità variabili secondo i tempi e le circostanze" (10). L'analisi dell'anarchismo è utile per deciderne gli sviluppi e il suo farsi concreto, ma non per dare una giustificazione dell'anarchia. E questo non tanto per porre l'anarchia su un piano etico e morale ma per spingere l'anarchia, i suoi scopi e i suoi valori, oltre il presente, oltre l'orizzonte raggiungibile. Ne consegue che l'anarchia non può essere mai pienamente raggiungibile perché è l'ideale assoluto, è l'orizzonte verso cui bisogna continuamente tendere. Essa si esprime a livello pratico attraverso il suo stesso processo, l'anarchismo. Ne deriva quindi un tipo di società costantemente in crescita o, per meglio dire, in continuo e costante cambiamento. Ogni valore raggiunto è la base per un ulteriore sviluppo dal quale partire. Non vi sono valori che possono essere considerati assoluti, ogni aspetto del nostro vivere in comune può e deve essere migliorato attraverso la ricerca e la sperimentazione.
Sotto questo aspetto siamo di fronte ad un processo creativo applicato su larga scala alla società. È il tentativo di sviluppare un sistema (di convivenza sociale) attraverso l'uso della ricerca, del dubbio e della libera sperimentazione, tenendo sempre presente che i risultati della ricerca non costituiscono un valore assoluto, non possono essere considerati la "verità", ma sono solo una conoscenza ulteriore, importante ma parziale, di noi stessi nel rapporto con gli altri. Essi devono essere costantemente riconfermati dai fatti e aperti ad ogni eventuale ulteriore sviluppo. Le esperienze passate sono importanti per decidere gli sviluppi attuali e la possibilità dell'errore viene considerata sotto questa prospettiva come un elemento necessario e positivo dell'intero processo di evoluzione sociale.


Volontà e scienza

Abbiamo parlato di come la volontà umana sia per Malatesta la spinta necessaria per intraprendere il cammino verso l'anarchia. Senza questa fondamentale spinta l'anarchia rimane una pura utopia impossibile da realizzarsi. È logico e coerente aspettarsi questo tipo di atteggiamento da una figura, quella di Malatesta, abituata al contatto con i problemi reali della società del suo tempo, di lotta e di propaganda effettuate sul campo. Il suo atteggiamento nella vita come nei suoi scritti è distante da posizioni accademiche, i suoi testi sono sempre strettamente connessi alle necessità del momento e alla diretta diffusione del pensiero anarchico, lo sviluppo teorico è sempre finalizzato alla pratica rivoluzionaria. La volontà è il mezzo, il solo mezzo, per ottenere le cose; solo con la volontà l'uomo può avanzare nella propria ricerca. Tutto il resto è secondario perché la volontà viene ancora prima del mezzo, è il fattore che determina l'esistenza e l'efficacia del mezzo stesso. La volontà ingloba quindi tutto, dalla scienza alla filosofia alla pratica rivoluzionaria perché è il "motore" che permette il raggiungimento di ogni progresso umano. Senza la volontà manca la fondamentale spinta iniziale al cambiamento delle cose. Ed è quindi la volontà ad essere al centro del processo anarchico, come di ogni importante processo di radicale cambiamento: "L'esistenza di una volontà capace di produrre effetti nuovi, indipendenti dalle leggi meccaniche della natura è un presupposto necessario per chi sostiene la necessità di riformare la società" (11). Ecco il profondo dissenso con la teoria di Kropotkin, dove l'anarchia è considerata come un ordine naturale affermando che, come la natura trova l'armonia senza governo, così la società tende a trovare il proprio equilibrio senza lo stato e gli istituti del potere. Dove per Kropotkin l'anarchia è "una concezione dell'universo basata sull'interpretazione meccanica dei fenomeni che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita della società", per Malatesta è invece un risultato della ricerca umana attraverso la volontà, e non c'è niente di più lontano di questo che considerare l'anarchia come un ordine naturale e considerare l'evoluzione della natura come "spontaneamente anarchica". All'opposto, per Malatesta la natura è disordine e l'uomo deve seguire un'altra direzione creando un modello di sviluppo differente attraverso la volontà vista come principale mezzo di progresso. È "la lotta delle società umane contro le disarmonie della natura". "La natura edifica e distrugge, fa nascere, fa soffrire e fa morire, crea la vita e fa in modo che essa non può mantenersi se non distruggendo altre vite. Naturale è l'amore e la gioia come è naturale l'odio e il dolore; naturale è l'abbondanza come è naturale la sterilità e la miseria; naturale lo schiacciamento del debole da parte del forte [...] È che quest'ordine naturale somiglia ben più all'ordine borghese che a quello che vogliamo noi!" (12). "Le armonie naturali, la naturale confluenza del bene di ciascuno col bene di tutti sono invenzioni della pigrizia umana, la quale piuttosto che lottare per realizzare i propri desideri immagina che essi si realizzino spontaneamente, per legge naturale" (13).
È dunque, come detto, la volontà totalmente indipendente dalle leggi meccaniche della natura l'elemento decisivo, l'energia necessaria per il cambiamento della società. "Lo scientismo che io respingo [...] è l'accettare come verità definitive, come dogmi, ogni scoperta parziale; è il confondere la scienza con la morale, la forza nel senso meccanico della parola, che è una entità definibile e misurabile, con le forze morali, la natura con il pensiero, la legge naturale con la volontà. Esso conduce logicamente al fatalismo, cioè alla negazione della volontà e della libertà" (14). Assurda è l'ipotesi dell'onnipotenza della scienza, il credere ad essa come alla verità assoluta; quello che si può trovare sono delle verità provvisorie, parziali e rivedibili. Si possono certo anche raggiungere conquiste importanti, ma non assolute. Per lo spirito anarchico ogni verità è sempre relativa e deve necessariamente tenere in considerazione la fondamentale libertà di sbagliare; anche perché sembra che spesso chi si crede in possesso della verità assoluta sia portato, più o meno inconsciamente, all'intolleranza, all'arroganza e alla sopraffazione.
Per Malatesta il fondamento di una sincera e seria ricerca in qualsiasi campo risiede nel ruolo di assoluto rilievo che deve essere dato al dubbio. Solo il dubbio sistematicamente applicato può essere l'unico valido metodo di ricerca della verità, "qualunque essa sia". Ed è anche l'unico modo per difendersi da ogni tipo di autoritarismo: chi non mette mai in discussione le proprie idee tende pericolosamente a considerare come la verità quello che è semplicemente un proprio punto di vista. Per un anarchico invece la verità, unica e intoccabile, non esiste, proprio perché la ricerca sincera presuppone la necessità di dubitare anche delle proprie conoscenze raggiunte, considerandole sempre come provvisorie e migliorabili. E se non si crede in una singola verità, ecco che di conseguenza termini come legittimazione, imposizione, autorità, non hanno più senso.
La ricerca deve essere continua, non deve mai fermarsi e non deve mai considerare le proprie conquiste come definitive, ma solo come valide e preziose basi su cui ripartire. E non deve farsi intrappolare dalle illusioni o dalle tentazioni date dai dogmi scientifici, religiosi o politici che essi siano. In risposta ad una polemica su chi lo accusava di essere dogmatico e scientista, Malatesta risponde: "Io protesto contro la qualifica di dogmatico perché, fermo e deciso in quello che voglio, sono sempre dubbioso in quello che so e penso che, per quanti sforzi si siano fatti per comprendere e spiegare l'universo, non si sia finora raggiunto non la certezza, ma nemmeno una probabilità di certezza - e non so se l'intelligenza umana potrà mai arrivarci. Invece, la qualifica di mentalità scientista non mi dispiace affatto e sarei lusingato di meritarla; poiché la mentalità scientista è quella che ricerca la verità con metodo positivo, razionale e sperimentale, non s'illude mai di aver trovato la Verità assoluta e si contenta di avvicinarvisi faticosamente, scoprendo delle verità parziali, che considera sempre come provvisorie e rivedibili" (15). "Io credo solo nelle cose che possono essere provate; ma so benissimo che le prove sono cosa relativa e possono, e sono infatti, continuamente superate ed annullate da altri fatti provati e quindi credo che il dubbio debba essere la posizione mentale di chiunque aspira ad avvicinarsi sempre più alla verità, o almeno a quel tanto di verità che è possibile raggiungere. Non credo nell'infallibilità della scienza, né nella sua capacità di tutto spiegare, né nella sua missione di regolare la condotta degli uomini" (16). E la scienza deve mantenere una posizione neutra, perché la conoscenza e i valori sono due cose distinte. La scienza "non dice all'uomo quello che deve desiderare, se deve amare o odiare, se deve essere buono o cattivo, giusto o ingiusto [...] la tossicologia apprende l'azione fisiologica dei veleni, ma non ci dice se dobbiamo servirci delle nozioni acquisite per avvelenare o per curare la gente. La meccanica scopre le leggi dell'equilibrio e della resistenza dei materiali, ci insegna a fare i ponti, i battelli a vapore, gli aeroplani, ma non ci dice se è meglio fare il ponte dove giova all'ingordigia di un proprietario o dove serve agli interessi di tutti, non ci dice se battelli e aeroplani debbano servire a portar soldati e buttare bombe sulla gente, oppure a spargere per il mondo la civiltà, il benessere, la fratellanza. Bontà, giustizia, diritto sono concetti che la scienza ignora completamente. Essa è un'arma che può servire per il bene o per il male; ma ignora completamente l'idea di bene e di male" (17). E ancora: "Tutto si spiega con le teorie, ma ciò che determina la condotta reale è la vita, che trionfa e si ride di tutte le teorie. La vita infatti passa oltre alle filosofie ed alle religioni. [...] Esse rappresentano il commendevole desiderio della mente umana di voler tutto spiegare, di voler penetrare nel fondo delle cose e potrebbero essere accettate come provvisorie ipotesi di lavoro per procedere ad ulteriori ricerche, se non fossero il più delle volte tendenza umana di non voler mai confessare la propria ignoranza e contentarsi, piuttosto di dire "non so", di spiegazioni verbali vuote di ogni contenuto" (18). La conoscenza che si organizza attraverso le teorie non è dunque in grado, alla fine, di risolvere il problema decisivo della condotta degli uomini: quello della scelta personale, libera e cosciente tra il bene e il male.


Rivoluzione e riforme

Malatesta considera la rivoluzione come un momento necessario in quanto il rapporto di forza all'interno della società tra le classi privilegiate e i suoi oppositori non permetterebbe a questi ultimi di riuscire nel loro intento: l'annientamento di ogni tipo di potere. Troppo legati ai propri privilegi sono le forze del potere per potervi rinunciare spontaneamente e pacificamente. La rivoluzione, tramite l'azione violenta, è quindi vista da Malatesta come un atto di forza necessario: "Una rivoluzione radicale che abbatta tutto l'organismo statale, che espropri i detentori della ricchezza sociale e metta tutti quanti gli uomini sullo stesso piede di uguaglianza economica e politica [...] deve essere necessariamente violenta, quantunque la violenza sia per sé stessa un male. Deve essere violenta perché sarebbe follia sperare che i privilegiati riconoscessero il danno e l'ingiustizia dei loro privilegi e si decidessero a rinunciarvi volontariamente. Deve essere violenta perché la transitoria violenza rivoluzionaria è il solo mezzo per mettere fine alla maggiore e perpetua violenza che tiene schiava la grande massa degli uomini" (19).
Di nuovo, Malatesta insiste sul concetto di volontà affermando che la rivoluzione deve prima di tutto partire, ed è essa stessa, un atto di volontà cosciente, che ha certo bisogno di condizioni favorevoli per nascere ma che non può essere vista come semplice prodotto di circostanze e sviluppi storici. Non bisogna essere attendisti e passivi, ma costruire fin da subito, attivamente, i presupposti perché la rivoluzione possa nascere e svilupparsi. E la rivoluzione in questo senso ha una sua importanza intrinseca in quanto dichiara con forza e decisione la volontà di rottura con ogni schema precedente. Al di là dell'ideologia anarchica, la rivoluzione rimane un atto importante di rifiuto di un sistema imposto e, quindi, un'affermazione di libertà: "Io credo che l'importante non sia il trionfo dei nostri piani, dei nostri progetti, delle nostre utopie, le quali del resto hanno bisogno della conferma dell'esperienza e possono essere dall'esperienza modificate, sviluppate ed adattate alle reali condizioni morali e materiali dell'epoca e del luogo. Ciò che più importa è che il popolo, gli uomini perdano gl'istinti e le abitudini pecorili che la millenaria schiavitù ha loro inspirate, ed apprendano a pensare ed agire liberamente. Ed è a questa grande opera di liberazione che gli anarchici debbono specialmente dedicarsi" (20).
Malatesta è di certo perfettamente cosciente dell'impossibilità della riuscita dell'atto rivoluzionario realizzato dai soli anarchici perché troppo poco è il loro numero per una sua possibile riuscita. Rimane fondamentale quindi aprirsi alla collaborazione con altri gruppi rivoluzionari, facendo attenzione però a mantenere il processo rivoluzionario stesso senza un preciso colore politico. Per qualsiasi altro movimento politico infatti la rivoluzione significa, oltre alla distruzione del potere precedente, l'insediamento di un nuovo potere. Per l'anarchia invece la rivoluzione deve solo strettamente limitarsi alla prima fase, senza pensare ad alcuna imposizione di un nuovo pensiero o di una nuova struttura sociale. Ecco perché la rivoluzione, nella logica anarchica, non può essere guidata da un'unica forza politica: se lo fosse significherebbe imporre con la forza delle idee, cosa questa profondamente contraria ai princìpi libertari. L'insurrezione deve essere invece l'occasione di realizzare una "tabula rasa" sociale, un terreno neutro, un luogo che dia poi la possibilità ad ognuno, compresi gli stessi oppositori all'anarchia, di essere liberi di sperimentare la propria concezione di struttura sociale in piena libertà. Gli anarchici devono, su questo campo finalmente favorevole alla sperimentazione, dimostrare la validità delle loro idee tramite l'azione pratica, la propaganda e l'esempio.
La rivoluzione, per essere veramente l'occasione di sbarazzarsi definitivamente di ogni tipo di potere, non deve essere la rivolta specifica del proletariato, o della borghesia, o delle classi contadine, o degli emarginati sociali, ma di tutta la massa eterogenea dei subordinati e degli insoddisfatti. Quante più differenti forze la rivoluzione riuscirà a coinvolgere, tanto più i rischi di un singolo nuovo potere che prenderà il posto di quello vecchio verranno scacciati. E questo rimane storicamente il rischio principale della rivoluzione: dopo il primo momento di fervore essa si è sempre poi ripiegata su sé stessa, concludendosi con la successiva restaurazione operata dalle stesse élite intellettuali che l'avevano guidata. "Tutta la storia ci insegna che tutti i progressi causati dalle rivoluzioni si sono ottenuti nel periodo dell'effervescenza popolare, quando o non esisteva ancora governo riconosciuto o il governo era troppo debole per mettersi apertamente contro la rivoluzione. Poi, a governo costituito, è cominciata sempre la reazione che ha servito l'interesse dei vecchi e dei nuovi privilegiati ed ha ritolto alle masse tutto quello che è stato possibile toglier loro" (21). "[...] la rivoluzione deve essere davvero una rivoluzione sociale e non ridursi ad un semplice cambiamento politico, che dopo qualche convulsione riporterebbe le cose allo stato di prima" (22). "Noi non vogliamo andare al potere e non vogliamo che nessuno vi vada. Se non possiamo impedire, per mancanza di forza, che governi esistano e si costituiscano, noi ci sforziamo e ci sforzeremo perché questi governi restino o diventino più deboli che sia possibile, e perciò siamo sempre pronti ad agire quando si tratta di abbattere o di indebolire un governo, senza troppo (dico troppo e non punto) preoccuparci di quello che verrà dopo" (23). "Non riconosceremo mai le istituzioni, prenderemo e conquisteremo le riforme possibili con lo spirito con cui si va strappando al nemico il terreno occupato per procedere sempre più avanti, e resteremo sempre nemici di qualsiasi governo, sia quello monarchico di oggi, sia quello repubblicano o bolscevico di domani. E quando non trovassimo nel popolo consensi sufficienti e non potessimo impedire la ricostituzione dello Stato colle sue istituzioni autoritarie ed i suoi organi coercitivi, noi dovremmo rifiutarci a parteciparvi e a riconoscerlo, ribellarci contro le sue imposizioni e reclamare piena autonomia per noi stessi e per tutte le minoranze dissidenti. Dovremmo insomma restare in stato di ribellione effettiva o potenziale, e non potendo vincere nel presente, preparare almeno l'"avvenire" (24). Pertanto rivendichiamo "il diritto di questa libertà che siamo disposti a difendere, potendo, anche con le armi. [...] Le insurrezioni saranno necessarie fino a che vi saranno dei poteri che colla forza materiale costringeranno le masse all'obbedienza; ed è probabile, purtroppo, che di insurrezioni se ne dovranno fare parecchie prima che sia conquistato quel minimo di condizioni indispensabili perché sia possibile l'evoluzione libera e pacifica" (25).
Certo un aspetto così delicato e al tempo stesso così complesso come la rivoluzione sociale porta ad inevitabili contraddizioni, a punti poco chiari del suo sviluppo. Come detto per gli anarchici la rivoluzione non deve essere l'espressione di un unico partito o di un'unica scuola di pensiero ma deve essere popolare, coinvolgere cioè quante più forze possibili, per evitare il successivo affermarsi di una unica forza politica. Inoltre, bisogna scongiurare il pericolo che per Malatesta costituiscono le "élite intellettuali", ovvero i gruppi che prima organizzano e guidano la rivoluzione, dandone quindi un preciso indirizzo politico, e poi prendono inevitabilmente il potere, con la conseguente restaurazione dei non-diritti e delle non-libertà per la popolazione. Ed è qui che si apre il primo problema del pensiero malatestiano e dell'anarchismo insurrezionale in genere: le masse non potranno essere veramente libere se non avranno dimostrato di tendere veramente alla libertà già prima e durante la rivoluzione, scegliendo di non farsi guidare da gruppi che vedono nella rivoluzione il modo per imporre, anche in buona fede, le proprie convinzioni. Come dice Malatesta, "non si possono aspettare che le masse diventino anarchiche per fare la rivoluzione", altrimenti la rivoluzione non avverrebbe mai. Ma allora come fare in modo che esse diventino anarchiche dopo la rivoluzione? Come fare in modo che si innamorino della libertà, che capiscano cosa essa sia e capiscano l'importanza della piena libertà, e non di quella fittizia spacciata per buona dai vari regimi, anche democratici? E come fare a convincere gli insorti ad abbandonare ogni tentazione di facile e immediato governo per intraprendere la ben più complessa e lunga strada della libera sperimentazione? La convinzione di Malatesa a questo proposito è che le masse non potranno mai diventare anarchiche se prima non si abbattono le istituzioni oppressive e che "per raggiungere il nostro scopo di cambiamento radicale dell'organismo sociale per opera diretta delle masse, noi dobbiamo accostarci ad esse, prenderle come sono, e come parti di esse spingerle il più avanti che sia possibile" e poi, come detto tramite l'esempio pratico, renderle aperte e interessate alla pratica libertaria. Creare quindi le condizioni tali da poter comprendere e attuare l'anarchia, condizioni inesistenti nel momento pre-rivoluzionario. Ma dire che, dopo la rivoluzione, "il resto avverrà con il progressivo estendersi delle nostre idee in mezzo alle masse" sembra eccessivamente semplicistico, soprattutto per una fase così importante.
Altro problema: la rivoluzione non è, in ogni caso, imporre la propria volontà sulla grande massa della popolazione? Non è un'azione che potremmo definire priva di dubbio? L'anarchia non si fa per forza, ma per forza si creano le basi per una possibile comprensione e una possibile successiva realizzazione dell'anarchia. In altri termini non si vuole imporre l'anarchia, ma la rivoluzione. Ma la rivoluzione, considerata come parte necessaria del processo anarchico, rimane pur sempre un atto di imposizione. La contraddizione rimane dunque, e profonda. L'unico modo per risolvere il problema è, secondo Malatesta, riuscire a diffondere le idee di libertà, uguaglianza e solidarietà come "senso comune" tramite un processo graduale e, inevitabilmente, lento. La rivoluzione sarà coerentemente anarchica solo quando voluta dalla grande maggioranza della popolazione, solo quando il suo ideale principale di libertà sarà largamente condiviso. Ecco che il momento della rivoluzione, seppur fondamentale, in realtà diviene poca cosa rispetto al lungo processo graduale del "prima" e del "dopo". Con le parole di Malatesta: "Tutto nella natura e nella vita procede a gradi, l'anarchia non può venire che poco a poco, per cui l'anarchismo deve essere necessariamente gradualista. Nella vita e nella storia tutto in fondo è questione di gradi e di modi [...] L'umanità cammina gradualmente, per via evolutiva, anche quando è commossa dalle più intense tempeste rivoluzionarie" (26).
Altro punto debole, e questa volta non per contraddizioni interne, risiede nel fatto che il processo rivoluzionario visto in senso libertario intende che gli avversari dell'anarchismo, alleati al momento dell'azione rivoluzionaria, desistano poi da ogni proposito autoritario. Troppo fragile e delicata è la società liberata appena nata per potersi permettere di essere attaccata in senso autoritario; la vittoria di questi ultimi sarebbe assolutamente scontata. Ed esempi nella storia in questo senso non mancano, primi fra tutti la rivoluzione russa e la guerra civile spagnola casi dove, proprio per la sua concezione anti-autoritaria, oltreché per le minori forze in campo, l'anarchismo ha subìto impotente l'attacco sia fascista sia comunista, con la pressoché completa distruzione o incarcerazione delle proprie forze. Inoltre, realisticamente Malatesta afferma che "gli anarchici sono una piccolissima minoranza [...] e quindi le rivoluzioni prossime future non potranno essere rivoluzioni anarchiche". In sostanza, non si può avere la rivoluzione che si vorrebbe; l'anarchismo deve dunque creare alleanze e adattarsi alle necessità del momento formandosi attorno alle masse popolari, e non le masse popolari formarsi sull'anarchismo, e da questa situazione cercare di trarne il meglio.
Come uscire da questa fase di stallo, sventare il pericolo autoritario e raggiungere la società anarchica attraverso un processo coerente con gli stessi princìpi libertari? La risposta di Malatesta è semplice e apparentemente ingenua: tramite l'esempio. Ma è anche l'unica risposta possibile, perché è solo tramite l'esempio che l'anarchia può far capire l'importanza dei suoi valori di libertà, di solidarietà e di cooperazione senza correre il rischio di contraddire sé stessa imponendo d'autorità il proprio pensiero. Ed è l'estrema fiducia di Malatesta nei valori dell'anarchia e al tempo stesso nelle capacità dell'umanità che gli fa pensare di poter sostenere una situazione di forze contrapposte tramite l'utilizzo dell'esempio e di poter vincere contro il nemico "autorità" tramite la semplice dimostrazione pratica dell'efficacia delle proprie idee.
La rivoluzione anarchica, l'intero processo anarchico, è prima di tutto un processo culturale, non politico, perché tende a cambiare l'approccio delle persone al vivere comune attraverso scelte di carattere etico e non economico. Da questo punto di vista quindi l'anarchia diventa un pensiero in costante evoluzione, un processo continuo di miglioramento, di continua precisazione del proprio ruolo e delle proprie relazioni all'interno della società, nel tentativo di meglio adattarsi alle esigenze contingenti e di meglio servire le necessità dell'uomo: "Non si tratta di fare l'anarchia oggi o domani o fra dieci secoli, ma di avanzare verso l'anarchia oggi, domani e sempre" (27). Tale fase non può mai dirsi arrivata, né arrivare; con una immagine usata dallo stesso Malatesta, è lo sforzo di raggiungere l'orizzonte, quando si sa bene che l'orizzonte è irraggiungibile.
L'alternativa alla insurrezione, alternativa promossa dai movimenti politici non rivoluzionari e da una parte stessa di anarchici, viene rappresentata dalle riforme. Per Malatesta le riforme vengono viste come una possibile via per un miglioramento momentaneo delle condizioni di vita e di lavoro in vista della rivoluzione, ma anche come una possibile trappola, che accontenta parzialmente le classi oppresse smorzandone al tempo stesso la volontà rivoluzionaria. In ogni caso, non vengono da lui considerate come un mezzo efficace per un cambiamento reale e profondo della società perché mantengono sempre lo stesso rapporto di subalternità tra chi ha i mezzi di produzione e chi li utilizza. Tale rapporto può dalle riforme venire migliorato in favore dei lavoratori, ma mai totalmente annullato, come vorrebbero invece gli anarchici. E qui subentra la critica e il totale disaccordo con i riformisti, che considerano invece le riforme l'unico mezzo possibile di cambiamento. Per Malatesta, come abbiamo detto, le classi privilegiate sono troppo attaccate ai loro privilegi per rinunciarvi pacificamente in favore della collettività. Le riforme non possono sperare di arrivare ad annientare totalmente tali privilegi perché il potere troverebbe il modo, quando le richieste diverrebbero per lui inaccettabili, di restaurare d'autorità il suo ruolo, invalidando d'un colpo i miglioramenti fino ad allora conquistati. Inoltre, secondo Malatesta il riformismo è ostacolo non solo alla rivoluzione, ma anche al raggiungimento delle riforme stesse; esso viene considerato come un metodo non sufficiente "a strappare riforme ai governi ed ai proprietari, i quali non cedono se non per paura, e spesso le riforme che essi preferiscono sono quelle che, mentre apportano un discutibile vantaggio immediato, servono poi a consolidare il regime vigente" (28). Anche solo per conquistare delle riforme, rimane quindi utile ricorrere alla minaccia della rivoluzione perché è solo con una minaccia di pericolo concreta che il potere concede delle migliorie. Inoltre per Malatesta la povertà assoluta, oltre che condizione inaccettabile di vita, è nemica della rivoluzione in quanto ne attenua l'energia vitale e non ne permette la preparazione necessaria: "La miseria deprime ed abbruttisce e per miseria non si fanno rivoluzioni: tutto al più si fanno sommosse senza domani. Ed è perciò che noi spingiamo i lavoratori a pretendere ed imporre tutti i miglioramenti possibili e impossibili [...] Chi si rassegna al male finisce con l'abituarvisi e a non sentirne più il peso. A prova il fatto che, normalmente, le regioni più povere e le categorie più misere del proletariato sono anche le meno rivoluzionarie" (29). Dunque riforme sì, ma facendo attenzione che non si rivelino poi come delle piccole concessioni date dal potere per acquietare i lavoratori, le quali sostanzialmente non indeboliscono il primo e non recano alcun vantaggio veramente significativo al secondo. L'obbiettivo finale dell'anarchia non è quello di migliorare il governo, ma di abbatterlo totalmente in modo da permettere la completa autogestione dei mezzi di produzione e di scambio; questa fase può essere ottenuta solo tramite la rivoluzione. Se si tiene sempre presente l'obbiettivo finale, riforme possono essere proposte, imposte, strappate, per un parziale miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Ma le conquiste così ottenute sono solo una fase temporanea e non possono venire considerate come il mezzo adatto per raggiungere il fine prefisso. Tutte le riforme possibili potrebbero venire approvate, ma non potrebbero mai annullare la divisione negli uomini, il diritto di alcuni di vivere sul lavoro e sull'esistenza di altri.


Il problema della violenza

Per Malatesta tutto il processo anarchico deve essere profondamente coerente con i propri stessi princìpi, tra il fine e i mezzi non devono esserci contraddittorietà. E questo non tanto, o non solo, per una questione morale, di princìpi, ma perché un processo che non sia rigorosamente anarchico, libertario e egualitario in tutti i suoi punti non potrà mai portare come risultato all'anarchia. "Ogni fine vuole i suoi mezzi [perché], stabilito lo scopo a cui si vuol raggiungere, per volontà o per necessità, il gran problema della vita sta nel trovare il mezzo che secondo le circostanze conduce con maggior sicurezza e più economicamente allo scopo prefisso" (30). "La ribellione materiale avverrà certamente e potrà servire a dare il colpo di spalla, l'ultima spinta che dovrà atterrare il sistema attuale; ma se essa non troverà il contrappeso nei rivoluzionari che agiscano per un ideale, e che siano ispirati e guidati dall'amore per gli uomini, per tutti gli uomini, una tale rivoluzione divorerà sé medesima. L'odio non produce l'amore, e con l'odio non si rinnova il mondo. La rivoluzione dell'odio fallirebbe completamente, e farebbe capo ad una nuova tirannia, che potrebbe magari chiamarsi anarchia, come si chiamano liberali i governanti di oggi, ma non sarà meno per questo una tirannia e non mancherà di produrre gli effetti che produce ogni tirannia" (31).
Malatesta passa poi ad una seconda osservazione: la realizzazione dell'anarchia costituisce in ogni caso un profondo cambiamento all'interno della storia. Ma la storia non ha una sua morale intrinseca, ed è sempre stata decisa da rapporti di forza; ne consegue quindi che la forza si rivela inevitabile per cambiare la storia stessa. Se l'uso della forza, la violenza, diventa necessario, per rispettare i princìpi libertari essa dovrebbe limitarsi esclusivamente alla legittima difesa, perché l'anarchia si propone come un movimento non violento. Si aprono così una serie di questioni contraddittorie: infatti, se l'anarchia è per principio "non-violenza, non-dominio dell'uomo sull'uomo, non-imposizione per forza della volontà di uno o di più su quella degli altri" (32), come va usato il mezzo della violenza in coerenza con tutto ciò? Dove inizia e dove finisce la sua necessità? Vediamo alcune frasi dello stesso Malatesa in proposito: "La nostra violenza è, per così dire, negativa: serve a distruggere quegli ordinamenti che per mezzo della forza organizzata in governo costringono gli uomini a subire la volontà altrui e a farsi sfruttare dagli altri" (33). "La violenza è necessaria purtroppo per resistere alla violenza altrui, non serve per edificare niente di buono: essa è la nemica naturale della libertà e perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità. La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la costituzione di una società di liberi non può essere che l'effetto della libera evoluzione" (34). "La violenza la dobbiamo predicare e prepararla, se non vogliamo che l'attuale condizione di schiavitù larvata, in cui si trova la grande maggioranza dell'umanità, perduri e peggiori. Ma essa contiene in sé il pericolo di trasformare la rivoluzione in una mischia brutale senza luce d'ideale e senza possibilità di risultati benefici; e perciò bisogna insistere sugli scopi morali del movimento e sulla necessità, sul dovere di contenere la violenza nei limiti della stretta necessità. Noi non diciamo che la violenza è buona quando l'adoperiamo noi ed è cattiva quando l'adoperano gli altri contro di noi. Noi diciamo che la violenza è giustificabile, è buona, è "morale", è doverosa, quando è adoperata per la difesa di sé stesso e degli altri contro le pretese dei violenti; è cattiva, è "immorale" se serve a violare la libertà altrui" (35). "Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere" (36).
Violenza e rivoluzione coincidono, è inevitabile, la rivoluzione necessita della violenza che ne è una sua parte costitutiva. Di conseguenza si può applicare lo stesso discorso affrontato relativo alla rivoluzione, e sotto questo punto di vista possiamo usare i due termini come sinonimi: la rivoluzione-violenza deve scrupolosamente limitarsi a liberarsi dalla violenza dei governi e dei vari poteri. Non deve in alcun modo portare direttamente alla vittoria, ma solo creare la possibilità di una vittoria, che con l'oppressione di uno stato non sarebbe possibile. Raggiungere poi la società anarchica deve essere esclusivamente l'effetto di una libera scelta; in questa prospettiva la violenza deve coincidere solo con la fase rivoluzionaria. Se la non-violenza è un valore fondamentale per l'anarchia, vi sono altri valori che la prevaricano, come la libertà, l'uguaglianza e la dignità dell'uomo; la violenza non va quindi rifiutata a priori, se viene utilizzata come mezzo per raggiungere tali valori. Ma il suo ruolo deve essere esclusivamente liberatore, non oppressivo. "Perché due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; che se uno dei due si ostina a volere colla forza obbligare l'altro a lavorare per lui ed a servirlo, l'altro, se vuole conservare dignità di uomo e non essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace ed il buon accordo, sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi adeguati. [...] Il non resistere al male "attivamente", cioè in tutti i modi possibili ed adeguati, in teoria è assurdo, perché in contraddizione collo scopo di evitare e distruggere il male, ed in pratica è immorale perché rinnega la solidarietà umana ed il dovere che ne consegue di difendere i deboli e gli oppressi" (37). Ecco che allora la reazione diventa un imperativo morale, se si è nella situazione di poter reagire per impedire l'ulteriore propagarsi della sopraffazione. Ma l'argomento è così delicato che porta ad una inevitabile serie di domande e di dubbi, che hanno risposte solo nella coscienza di ognuno: in che modo, in base a quali parametri, la difesa può essere considerata legittima? Può, e quando, la difesa diventare essa stessa sopraffazione? Gli sfruttatori, le loro strutture e le loro gerarchie, sono sempre così facilmente e precisamente individuabili per poi giustamente reagire con la forza alla loro forza?


La truffa democratica

Per Malatesta la democrazia, promossa come il "governo di tutti" è una truffa, perché l'unico modo che un governo ha di essere realmente di tutti è che il popolo sia sempre d'accordo su ogni scelta politica, e questo è evidentemente impossibile. Dunque essa andrebbe meglio spiegata come il controllo e il dominio di una parte della popolazione sull'altra. Poco importa se il controllo viene effettuato dalla maggioranza o dalla minoranza; in ogni caso si tratta di imporre delle scelte su una parte di popolo. La democrazia quindi è considerata da Malatesta e dagli anarchici come un sistema che non garantisce l'espressione della piena libertà di tutti gli individui: "Governo di popolo no, poiché questo supporrebbe ciò che non si verifica mai, cioè l'unanimità delle volontà di tutti gli individui che costituiscono il popolo. Dunque ci si accosterà di più alla verità dicendo: Governo della maggioranza del popolo. Si prospetta quindi di già una minoranza che dovrà ribellarsi, o sottomettersi alla volontà altrui. Ma non avviene mai che i delegati al potere dalla maggioranza del popolo siano tutti dello stesso parere su tutte le questioni, quindi bisogna ancora ricorrere al sistema della maggioranza e perciò ci avvicineremo ancora un po' alla verità dicendo: Governo della maggioranza degli eletti dalla maggioranza degli elettori. Il che comincia già a assomigliare forte ad un governo di minoranza [...] Anche nella più democratica delle democrazie è sempre una piccola minoranza che domina, ed impone con la forza la sua volontà ed i suoi interessi [...] Dunque chi vuole davvero il "governo di popolo" nel senso che ciascuno possa far valere la sua volontà, le sue idee, i suoi bisogni deve fare in modo che nessuno, maggioranza o minoranza che sia, possa dominare sugli altri, vale a dire deve volere l'abolizione del governo, cioè di qualunque organizzazione coercitiva, e la sua sostituzione con la libera organizzazione tra quelli che hanno interessi e scopi comuni" (38). La democrazia non potrà mai esaudire la volontà dell'intera collettività perché la collettività non è omogenea, gli uomini hanno vari bisogni, aspirazioni, valori, ai quali il regime democratico non può rispondere o rispondere solo parzialmente. In questo contesto le minoranze non contano, non hanno voce e subiscono la volontà della maggioranza imposta con la forza (la polizia e la burocrazia). La democrazia è quindi per Malatesta un sistema imperfetto e approssimativo, che delega il potere alla classe politica più forte, che è a sua volta espressione della classe sociale ed economica più forte. Per cui in questo contesto i valori fondamentali di libertà e uguaglianza vengono espressi in maniera solo parziale e non vengono sviluppati in tutto il loro potenziale. Certo, non vi è dubbio che "la peggiore delle democrazie è sempre preferibile, non fosse che dal punto di vista educativo, alla migliore delle dittature. Certo la democrazia, il cosiddetto governo di popolo, è una menzogna, ma la menzogna lega sempre un po' il mentitore e ne limita l'arbitrio; certo il "popolo sovrano" è un sovrano da commedia, uno schiavo con corona e scettro di cartapesta, ma il credersi libero anche senza esserlo val sempre meglio che il sapersi schiavo ed accettare la schiavitù come cosa giusta ed inevitabile" (39). E poi c'è il problema, una volta arrivati al potere, di restarci, ricorrendo inevitabilmente ai soliti stratagemmi: favorire le classi più potenti, clientelismo, soppressione delle opposizioni, piccole riforme-bluff per calmare la minoranza, vuoti discorsi di facciata, controllo dei media, alleanze forzate... In questo sistema, dove il fine rimane necessariamente la riconferma del proprio potere, la libera, onesta e disinteressata discussione sui problemi collettivi non può essere in alcun modo garantita.
Naturalmente Malatesta non rifiuta l'espressione principale della democrazia, ovvero il voto, anche se fa a questo proposito un distinguo tra "il voto politico, che serve a nominarsi dei padroni, con il voto quando è mezzo per esprimere in modo spiccio la propria opinione". È l'idea di "democrazia diretta" promossa dagli anarchici: in alcune circostanze è necessario votare, e seguire dunque la volontà della maggioranza. Si intende però il voto della popolazione relativo ad un problema specifico da risolvere e non il voto per decidere una delega politica del proprio potere. In ogni caso il voto non deve essere considerato come una regola permanente di condotta perché, dove possibile, non bisogna promuovere nessuna imposizione di nessun tipo, neanche quella approvata dalla maggioranza. A questo proposito Giampietro Berti, nel suo libro "Il pensiero anarchico": "Sebbene esistano situazioni in cui le minoranze devono cedere alle maggioranze, non bisogna coltivare la sacralità di questa contrapposizione perché non sempre le maggioranze hanno ragione, come, del resto, non sempre l'hanno le minoranze. Occorre ribadire la volontarietà dell'atto con cui la minoranza si piega alla maggioranza e non cadere, quindi, nel fatalismo della coazione. Malatesta - prigioniero di un presupposto antropologico radicalmente ottimistico - insiste sul carattere morale della diversità tra anarchismo e democrazia, che si risolve nella diversa concezione etica della società: i membri di una società libera, riconosciuta la bontà e l'impossibilità di fare diversamente, spontaneamente cedono alla volontà dei più" (40). Una società di tipo autoritario si mantiene sulla coazione, la società anarchica sul libero accordo: "Così, per esempio, se si trattasse di fare una ferrovia, vi sarebbero certamente mille opinioni diverse che andrebbero cambiando di giorno in giorno: ma se la ferrovia si vuol fare bisogna pure scegliere [...] né si potrebbe ogni giorno modificare il tracciato, traslocando le stazioni e cambiando le macchine. E poiché di scegliere si tratta è meglio che siano contenti i più che i meno, salvo naturalmente a dare ai meno tutta la libertà e tutti i mezzi possibili per propagandare e sperimentare le loro idee e cercare di diventare maggioranza. Dunque in tutte quelle cose che non ammettono parecchie soluzioni contemporanee, o nelle quali le differenze di opinione non sono di tale importanza che valga la pena di dividersi ed agire ogni frazione a modo suo, o in cui il dovere di solidarietà impone l'unione, è ragionevole, giusto e necessario che la minoranza ceda alla maggioranza" (41).


Anarchia e libertà

La libertà è l'anima, il principale scopo dell'anarchia, il suo principio fondante, la massima consacrazione della dignità umana. Per Malatesta l'anarchia può essere riassunta nella formula "libertà per tutti": non una libertà solo teorica, fittizia, approssimativa, ma una libertà piena, espressa tramite la totale assenza di qualsiasi coercizione violenta dell'uomo sull'uomo, e nella presenza di tutte le condizioni materiali possibili, per cui ciascuno possa senza nessun condizionamento essere padrone di sé stesso, essere libero di cercare il massimo godimento e il massimo benessere attraverso la disponibilità dei mezzi senz'altro limite che l'eguale libertà degli altri. Libertà e benessere non possono per Malatesta essere dati da un uomo, da un partito o da un governo, ma tutti devono autonomamente scoprirne le condizioni e conquistarsele, anche perché ogni individuo è differente dagli altri e differenti sono spesso le risposte ai propri bisogni che va cercando. L'uomo deve essere totalmente libero, ed è il rispetto per il prossimo che decide il suo necessario limite. L'assenza di regole è in realtà la possibilità di scegliere e decidere le proprie regole, in base alla propria coscienza e alla situazione contingente. Certo è un processo complesso, lento, come abbiamo detto, perché mira allo sviluppo della coscienza dell'uomo, al risveglio di quelle attività critiche che in un regime totalitario o democratico vengono anestetizzate dall'abitudine ad ubbidire ciecamente a regole spesso inutili, parziali e superficiali. In questi regimi l'uomo non ha la possibilità di sviluppare appieno il proprio spirito critico attraverso la pratica e l'errore, unico mezzo per imparare veramente sulla propria pelle la strada da seguire. L'errore in democrazia è considerato penalmente perseguibile.
La democrazia sembra non possa fare dell'uomo una persona matura; è come dei cattivi genitori che impongono le regole di vita ai propri figli senza spiegarne il perché e senza che questi abbiano la possibilità di poter fare le proprie esperienze liberamente, anche attraverso la ricerca di eventuali soluzioni alternative. Essa non lascia spazio alla sperimentazione, quando invece la curiosità dello spirito umano andrebbe sempre assecondata e stimolata in ogni modo. Inoltre per l'anarchia non esiste una singola verità, ma un tentativo di continuo miglioramento che può anche seguire varie direzioni. La "volontà generale" non è e non può essere giudicata come la verità, né può essere vista come la migliore via da seguire solo perché è la maggioranza a decretarlo. Per l'anarchia è fondamentale garantire la pluralità di sviluppo e di alternative sociali in una logica di continua sperimentazione nella ricerca del meglio; tale garanzia non può invece essere assicurata in una struttura sociale che decide i propri sviluppi in termini binari, bianco e nero, si può fare non si può fare, buono e cattivo, utilizzando così un processo assolutamente elementare. L'anarchia vuole mettere in gioco altri fattori: espandere l'interesse umano alla ricerca di vari modi di convivenza, stimolare lo spirito critico e la fantasia e non reprimere la necessità di sperimentare. E non vuole creare la paura di sbagliare come, appunto, una famiglia autoritaria fa con i propri figli. Lo sbagliare è parte integrante e fondamentale del processo. Sicuramente è un processo difficile, perché cerca di non essere banale, non cerca di semplificare le cose che sono invece dichiaratamente complesse, e si rifiuta di considerare gli uomini come persone immature. "Io non ho mai detto che l'anarchia, specie nei primi tempi, sarà l'Arcadia o l'Eldorado. Vi saranno purtroppo guai e difficoltà inerenti all'imperfezione e al disaccordo degli uomini; ma se v'è probabilità che i mali siano minori che in qualsiasi regime autoritario, ciò mi basta per essere anarchico" (42).
È ovvio come la libertà debba essere garantita a tutti, anche a chi la pensa diversamente, anche a chi l'anarchia non la condivide. Così Malatesta a proposito di un episodio avvenuto in una piccola città dell'Umbria nel 1897, dove un Circolo cattolico inaugurò la sua costituzione con una processione religiosa, dispersa poi a pugni e bastonate da un gruppo di anticlericali, tra i quali alcuni anarchici: "Che i liberali facciano di questa roba, si capisce. Ormai un'esperienza secolare ha mostrato all'evidenza che cosa intende per libertà la classe che ha trionfato con la rivoluzione francese del 1789. Essa cominciò il suo regno massacrando i prigionieri e ghigliottinando in massa nobili e popolari, realisti e comunisti; lo ha sempre difeso con ferocia inaudita quando ha visto, o ha creduto di vedere in pericolo la sua borsa, ed ora è arrivata a ristabilire e a rinnovare i fasti dell'inquisizione. Ma pare che alle violenze contro i clericali pigliassero parte anche gli anarchici - e questo ci riempie di vergogna e di sdegno [...] non è anarchico chi non rispetta negli altri la libertà che reclama per sé; che è un ipocrita o un incosciente chi, mentre odia e disprezza lo sbirro, fa poi da sbirro contro gli altri non appena se ne sente la forza e gliene capita l'occasione. [...] Anarchici, sappiate essere uomini di libertà. Alla violenza fisica opponete, poiché è necessario, la resistenza fisica; ma alla propaganda opponete la propaganda, niente altro che la propaganda. Altrimenti la gente crederà, e non a torto, che quando saremo i più forti, saremo tiranni come gli altri - e che l'anarchia resterà una parola vana. Come è restata vana la parola libertà, di cui i borghesi, prima del trionfo, si dicevano i difensori" (43). "L'avversario può essere in errore, può avere tutti i torti immaginabili, la sua propaganda può essere dannosa: egli ha diritto lo stesso alla libertà più completa. Perché altrimenti chi giudicherebbe quale è la verità permessa e quale l'errore proibito?" (44). Luigi Fabbri, sempre a questo proposito, nel suo testo su Malatesta riporta un episodio: "Mentre più infuriava in Italia la violenza liberticida fascista, gli fu chiesto: "riconosce dunque la libertà anche ai fascisti?". Egli [Malatesta] rispose: "certamente, a patto che per libertà s'intenda la libertà vera, quella medesima che reclamiamo noi e per tutti (di stampa, parola, riunione, associazione, ecc.), e non la sedicente libertà di saccheggiare, d'incendiare, di bastonare e d'ammazzare, che è arbitrio infame, prepotenza e violazione di tutte le libertà" (45).
L'anarchia non accetta una verità singola e intoccabile ma cerca di mantenere la struttura sociale aperta a più "verità" che, riconoscendole e parificandole su un unico piano, vengono considerate come semplici, e non uniche, soluzioni possibili. Sono i fatti, come sempre nell'anarchia, a dare la possibilità di poter giudicare le scelte. "Noi anarchici possiamo dire la nostra anarchia, anzi ogni anarchico può dire la mia anarchia, poiché un anarchico non riconosce altra regola di vita che quella approvata dalla sua coscienza" (46). "Non è questione di avere ragione o torto: è questione di libertà, libertà per tutti, purché non violi l'eguale libertà degli altri. Nessuno può giudicare in modo sicuro chi ha ragione o torto, chi è più vicino alla verità e quale via conduce meglio al maggiore bene per ciascuno e per tutti. La libertà è il solo mezzo per arrivare, mediante l'esperienza, al vero ed al meglio: e non vi è libertà se non vi è libertà nell'errore" (47). La libertà di sperimentare scelte differenti è il solo mezzo per arrivare, per tendere costantemente al meglio, per avvicinarsi sempre il più possibile alla verità. L'importante è avere la possibilità di realizzare le proprie idee senza negare la stessa possibilità ad altre persone: "Noi siamo per la libertà non solo quando ci giova, ma anche quando ci nuoce. E solo così vi può essere libertà" (48).
Quali siano i modi e le forme concrete in cui potrà realizzarsi questo trionfo della libertà e dell'amore "nessuno potrebbe dirlo con esattezza" perché "non vi sono formule magiche capaci di risolvere le difficoltà né dottrine universali e infallibili applicabili a tutti gli uomini ed a tutti i casi" (49). Quindi il futuro, il come effettivamente potrà essere la società anarchica, nessuno lo può dire con esattezza perché la società anarchica deve mantenersi sensibile ad ogni situazione contingente, e non presentarsi come una serie di regole rigide e inviolabili che vogliono essere ad ogni costo buone per ogni situazione e per ogni momento.


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